25 Novembre, ancora: la violenza sulle e intorno alle donne

Il 25 novembre ricorre la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
La giornata è stata istituita nel 1999 dall’Onu, e ha l’obiettivo di porre l’attenzione pubblica sul fenomeno della violenza contro le donne, fenomeno ancor oggi diffuso nonostante l’avanzamento in termini di diritti e rappresentazione.

Se qualcuno è ancora diffidente sui significati di questa ricorrenza, può essere utile mostrare i dati, dell’ISTAT (li trovate qui), o i dati mondiali forniti dall’ONU sul 2020, che trovate qui.

Può essere utile anche solo farsi una chiacchierata con le donne che incontra.
Basti sapere che in Italia nel 2020 sono state uccise 56 donne solo durante il lockdown, e 2.013 donne hanno chiesto aiuto ai centri antiviolenza (Fonte: Chayn Italia).

Ridurre un fenomeno complesso a una definizione univoca è pericoloso e imbrigliante, nonché riduttivo.
Può essere invece molto più utile ascoltare vissuti e testimonianze soggettive, ma anche partire da un concetto ampio che vede come violenza una qualsiasi dinamica in cui c’è una situazione asimmetrica che porta dolore, disagio, abuso, discriminazione, mancanza di libertà, opportunità per una o più persone e che, per contro, ne porta altre in una posizione di potere.
Una definizione del genere può essere utile anche se si vuole parlare di violenza sugli uomini, che esiste ma che no, non è la controargomentazione adatta per dire che la giornata del 25 novembre non serve più.

Quello della violenza sulle donne è un fenomeno che non conosce distinzioni di etnia, di provenienza, di ceto sociale, di orientamento sessuale, di abilità, di estetica o di età, anche se è vero che può prendere forme diversificate a seconda delle caratteristiche identitarie di chi la vive.
La maggioranza delle situazioni di violenza si svolge nei contesti domestici, e sono situazioni perpetrate da partner, ex partner, familiari, amici, e solo in misura minima da sconosciuti.
Quindi no, la violenza sulle donne non ha il volto dello psicopatico incontrato per strada di notte, ma ha il volto delle foto negli album di famiglia o sui social (da cui i giornali prendono spunto quando parlano di femminicidio), ha il volto di chi è vicino, ha il volto di chi dovrebbe stare accanto in parità e non in sopruso o abuso (fisico o di potere).
Noi donne giovani, per quanto stiamo vivendo una quotidianità con percentuali di emancipazione più alte rispetto alle nostre mamme, non siamo esenti dal fenomeno.
L’articolo “Femminicidi: è la strage delle millennials” di Adelaide Barigozzi dice che “Secondo i dati dell’Istat, aggiornati in collaborazione con il Ministero della Giustizia, a morire per mano dei propri compagni sono sempre più ragazze tra i 18 e i 30 anni, mentre l’età dei loro assassini si sta abbassando. Fino a ieri gli autori di femminicidio, infatti, avevano tra i 31 e i 40 anni, ma la fascia anagrafica si sta allargando. Oggi si uccide la propria ragazza a 18, 20, 21, 24, 27, 28 anni…” (trovate l’articolo completo nelle letture suggerite).

La giornata del 25 novembre è un’occasione per parlare di tutti i tipi di violenza sulle donne.

Oltre alla violenza interpersonale (che si ritrova cioè all’interno delle relazioni tra persone), ci sono le violenze “sistemiche”, quelle cioè che sono attivate in maniera silenziosa e subdola intorno alle donne e ai loro corpi dalla società nel suo complesso, con vari meccanismi: sono violenze fatte con le opinioni, con le discriminazioni a lavoro, con il mantenimento dei “soffitti di cristallo” per alcune posizioni occupazionali, la violenza che passa dalla sessualizzazione delle donne nelle pubblicità, dalle battute sul ciclo mestruale, commenti per strada (cat-calling) e il revenge porn, di cui ha parlato la nostra autrice qui e che di cui si è tornato a parlare recentemente per il caso della maestra di Torino.

Tra le violenze “sistemiche” più diffuse , quelle intorno alle donne e ai loro corpi, c’è il cat-calling, ovvero le molestie in strada.
Il cat-calling è a tutti gli effetti una molestia, di solito verbale, fatta in spazi pubblici o mezzi di trasporto, da parte di sconosciuti. Si va dal “ciao bella”, ai fischi, alle volgarità più esplicite, ai commenti sull’apparenza, alle molestie fisiche (per esempio palpeggiamenti) o anche a inseguimenti per strada.
Spesso viene definita come un “complimento” o un apprezzamento, con tanto di commenti tipo “E che sarà mai”, “Magari capitasse a me”. In Francia, giusto per dire, è reato. Questo perché si tratta di un gesto violento, un’invasione del proprio spazio personale e psichico; solitamente viene rivolto alle donne (e no, gli abiti non fanno la differenza), alla popolazione LGBTQ, ai corpi non conformi, alle persone grasse e alle persone con disabilità.
Gli studiosi del tema spiegano le molestie in strada come una violenza che nasce dalla asimmetria di potere sociale di alcuni corpi e di alcune identità nella nostra società: alcuni corpi vengono concepiti come oggetto passibile di commento pubblico, e no, il fatto che alcuni commenti siano “innocui” (come il “Ciao Bella” detto dallo sconosciuto) non rende meno invadente il gesto.
Per una conferma dell’impatto psicologico sulla vita delle donne e delle persone che hanno vissuto episodi di cat-calling date un’occhiata alla ricerca sul tema (ci sono anche dati sull’Italia). In Italia esistono diversi gruppi che raccolgono testimonianze e cercano di sensibilizzare al tema, tra cui anche Cat Calls of Turin, nella città di Torino.

Intorno alle donne e ai corpi delle donne c’è violenza.
Non ci sono “categorie”: la violenza di genere va su un continuum che va dalla violenza esplicita ed estremamente dannosa a quella sotterranea, alle micro-aggressioni o alle battute sessiste.
Non ce n’è una più grave dell’altra, cambia solo il danno che ne deriva e l’attacco al diritto di vivere nell’incolumità e nella dignità piena la propria vita, la propria identità e il proprio corpo.
A volte la violenza può sembrare quasi innocua e lasciare un senso di rabbia e di fastidio in chi la vive. A volte invece arreca danno, fisico e psicologico, cambiando la percezione di sé e della propria vita. Altre volte invece fa morire.

Ancora, il 25 novembre, parliamone e impariamo a non sminuire.

Se vivi una situazione di violenza, chiedi aiuto: puoi chiamare il 1522 (numero di emergenza attivo 24 ore su 24) o rivolgerti al Centro Antiviolenza più vicino. Su www.chaynitalia.org puoi trovare tutte le risorse di cui hai bisogno in maniera sicura.

ALESSIA GRAMAI

Writer
Psicologa, (quasi) sessuologa, sarda, femminista.
Polemica, a volte; troppo concentrata su cosa succede nel mondo, spesso; piena di dubbi, sempre.