bLUe MONDAY #5

Blue Monday, how I hate Blue Monday
Got to work like a slave all day

Fats Domino, Blue Monday

1) Nick Waterhouse, Live at Pappy & Harriet’s: in person from the High Desert

#oldstyle #vintage #R&B

Qualche anno fa, nel deserto della programmazione radiofonica italiana, si affacciava una canzone dal riff e dalla melodia incalzanti, accompagnati da un coretto martellante: “Doo wop a doo wop, shoopi doobi doo wop”. Manco a dirlo, la presenza di un ritmo e di una melodia ben costruita rendeva quel brano, Katchi, di gran lunga il migliore rispetto alle impresentabili alternative offerte dai super qualificati deejay del Bel Paese.

Ad interpretarlo erano gli Ofenbach, ma a scriverlo è stato un figlio adottivo dei nostri tempi, che, tuttavia, sembra essere cresciuto a pane e swing’n’roll, Nick Waterhouse. 

Diretto discendente della cultura musicale Stax e Motown, di Buddy Holly e di James Brown, Nick Waterhouse si è costruito, nell’ultimo decennio, una solida reputazione tra gli amanti delle good vibrations anni ’50 ed in questo 2020 ha dato alle stampe Live at Pappy & Harriet’s: in person from the High Desert, un disco live che, se possibile, acuisce la malinconia per i concerti estivi e la loro atmosfera che tanto ci mancano.

Da tempo, attendevo con ansia il suo debutto in un album live. La mia curiosità è stata ampiamente soddisfatta da questo disco, che ripropone la brillante e frizzante esibizione del nostro, accompagnato da una band di altissimo livello, al Pappy & Harriet’s, particolare locale honky-tonk californiano. 

In circa un’ora di musica, il disco regala emozioni in grado di riportare l’ascoltatore dritto all’età aurea del rock’n’roll e dell’R&B. Classe, eleganza e freschezza riempiono ogni singolo brano. 

Al termine del concerto, consiglio di ordinare un altro cocktail.

2) BECK, Hyperspace

#alternativepop #songwriter #ballatespaziali

C’era un tempo un musicista chiamato Beck, che nel 1994 aveva incontrato il successo con un singolo, Loser, guidato da una ipnotica chitarra slide ed un cantato che anticipava l’avvento del rap bianco a la Eminem. Oggi, quello stesso musicista, sempre più simile esteticamente ad un novello Andy Warhol, si ripropone nell’asettico panorama musicale con un disco, Hyperspace, che rappresenta appieno il carattere irrequieto e sperimentale del suo autore, da sempre capace di proporre musica alternativa (nel vero senso del termine) con indipendenza ed autorevolezza.

Hyperspace si colloca al di fuori dei generi, pur toccandone diversi. Semplicemente, Hyperspace è Beck. L’iniziale ballata elettronica Uneventul Days ti cattura, la follia melodica di Saw Lighting ti sorprende. 

Alcuni brani, come Die waiting e Chemical, non sfigurerebbero nel panorama radiofonico attuale. Quest’affermazione, che può sembrare offensiva per quasi qualsiasi altro musicista, non lo è se pronunciata con riferimento a Beck, che gode di un credito e di una posizione istituzionale nel mondo musicali tali da non inficiarne l’autorevolezza. 

Ciò che rimane, alla fine di questo disco, è la sensazione di aver ascoltato musica contemporanea suonata e studiata con l’approccio puro ed elevato dei migliori interpreti. 

Altri cento di questi Beck.

Per questa puntata della rubrica, la nostra Elga consiglia:

3) Whitney Shay, Stand Up!

#blackmusic #soul #R&B

Da appassionata di musica black distinguo sempre tra chi ha il soul e chi non ce l’ha. Whitney Shay ha il suol. Questa ragazza di San Diego, California, ha grinta da vendere e un timbro esplosivo e graffiante, degno della migliore tradizione di voci nere, ma con richiami evidenti anche alla rossa infuocata del blues, Bonnie Raitt. 

Whitney Shay esordisce nel 2012 con Soul Tonic, album indipendente, seguito nel 2018 da A Woman Rules the World per giungere poi quest’anno ad un contratto con la Ruf Records e con il produttore Mark “Kaz” Kazanoff presso cui registra il suo ultimo lavoro Stand Up!

L’album si apre con il brano che dà il titolo all’opera, un’esortazione all’ascoltatore che trasmette subito una potente scarica di energia grazie alla vivace introduzione ritmica e di fiati. Dei dodici brani presenti, dieci sono frutto della collaborazione tra la Shay e il suo partner abituale di scrittura Adam J. Eros, mentre due sono cover, tra cui spicca la struggente I Never Meant to Love Him, omaggio ad uno degli idoli dichiarati della cantante, Etta James. Il brano è davvero uno straordinario pezzo di bravura della Shay, in cui il suo timbro corrosivo viene attenuato per dare risalto alla potenza emotiva e raffinata del deep soul fino a raggiungere picchi altissimi, e non sto parlando metaforicamente, con il lungo acuto finale che dichiara tutta l’estensione vocale di questa artista. 

L’album nel suo complesso è un viaggio rigenerante, che alterna le predominanti sonorità rythm and blues a momenti di maggiore influenza funky-rock e blues, come in Equal Ground, P.S. It’s Not about You e Far apart (Still Close). Senza dimenticare di elevare l’ascoltatore nell’alto dei cieli grazie alle atmosfere sacre create da Red Young all’organo e dallo stesso Kazanoff al sax in I Thought We Are Through. 

Protagonista è sicuramente la voce di Whitney Shay, ma il team di musicisti che danno corpo ai brani non fa nessuna fatica ad emergere, anzi. Gli assoli alla chitarra di Laura Chavez hanno un’eleganza e una raffinatezza notevolissime e l’accoppiata con Derek O’Brian alla slide produce il risultato di un immediato teletrasporto sulle sponde del Mississippi. Insomma, il percorso musicale della Shay è davvero da seguire. Stand Up! fa muovere come morsi da un ritmo irrefrenabile e fa battere il cuore come nei migliori momenti di trasporto.

LUCA OSTENGO

Writer
Classe 1992, torinese per nascita e non per vocazione, aderisce sin dalla primissima età al credo profano di Chuck Berry.
Convintamente edonista, identifica il piacere nella melodia di una canzone o nell'ironia di una battuta.
Quando non si dedica all'altare della Musica, esercita il culto calcistico della maglia bianconera.