Elisa, un’artista a contatto col sociale

Vi siete mai chiesti come sono costruiti i libri per i bambini ciechi e ipovedenti? Ci sono le figure?

Ce lo spiega Elisa Molino, giovane artista della provincia di Asti, e presidente di Associazione ConTatto, che si occupa di bambini ciechi e ipovedenti e delle loro famiglie.

Elisa, qual è il tuo percorso professionale?

Ho fatto il liceo artistico ad Asti e poi mi sono trasferita a Torino, per frequentare l’Accademia Albertina di Belle Arti. Ho scelto l’indirizzo Pittura, col il sogno di fare l’artista a tutti gli effetti. Ma poi le cose son cambiate, principalmente perché proprio frequentando l’Accademia ho capito che non era il mio mondo. Troppa competizione, sgarri, dispetti, e una comunicazione artistica che sentivo fine a se stessa. 

Comunque ho preso la laurea nel 2013, e ho intrapreso il percorso magistrale a indirizzo grafica, ma con delle riserve. Nel 2015 ho capito in maniera definitiva che non era il mio percorso, sentivo che non mi dava più niente. Mi sono presa una pausa di riflessione e ho deciso di svolgere un anno di Servizio Civile. Lo ammetto, con poca consapevolezza, era giusto per fare qualcosa dopo la scelta di mollare l’Accademia. Ma proprio durante il Servizio Civile Volontario ho iniziato il percorso che mi ha fatto arrivare qui dove sono ora.

Dove hai fatto il Servizio Civile Volontario?

Presso il Servizio Passepartout del Comune di Torino, una divisione dei servizi sociali che si occupa di disabilità fisiche, motorie e sensoriali. Quell’esperienza mi ha dato fin da subito l’opportunità di scoprire tante realtà del territorio. Ma la scoperta vera è stata un’altra: ho conosciuto persone con vissuti simili ai miei, persone con disabilità diverse e con carriere e percorsi personali di grande valore. Sono state queste esperienze ad aprirmi un mondo non solo a livello professionale ma soprattutto a livello personale…

Quindi oltre a quello professionale, c'è stato un percorso personale parallelo…

Sono albina, e quindi ho una disabilità sensoriale (l’albinismo consiste in una mancanza organica e globale di pigmentazione -melanina-: questo porta alle caratteristiche estetiche peculiari e rischi per la pelle dell’esposizione al sole, ma anche a una condizione visiva di fotofobia perché, mancando la melanina nell’iride e nella coroide, l’occhio non riesce a calibrare l’ingresso della luce per la visione a media e lunga distanza: spesso presente anche nistagmo e astigmatismo, N.D.R).

Ci ho sempre convissuto, chiaramente, ma con zero consapevolezza e in maniera completamente diversa da ora. In adolescenza avevo molte paturnie, un po’ di vergogna… ad esempio evitavo le visite oculistiche per non dovermici confrontare. La mia fortuna è sempre stata quella di trovare escamotage anche molto creativi per la quotidianità e la pratica artistica. Può sembrare paradossale che facessi pittura, ma trovavo sempre un modo, anche per dipingere modelli lontani dalla mia postazione di pittura. Erano però escamotage fatti più per evitare una sorta di critica interna. Il ragionamento che facevo da adolescente era: se si vede che ho un problema meglio nasconderlo o camuffarlo, sennò arrivano le prese in giro, la denigrazione sociale, il bullismo. E se le prese in giro arrivavano era facile pensare di essere sbagliata e vergognarsi. 

É a partire dal Servizio Civile e dal mio percorso nel sociale che ho smesso di credere questa cosa e ho smesso di nascondere la mia disabilità sensoriale e di provare vergogna. Ho trasformato la mia disabilità sensoriale in una competenza!

In che modo?

Io sono ipovedente e posso trasformare questa condizione in una competenza da mettere nel lavoro che faccio, al servizio dei destinatari della nostra associazione, sia che abbiano la stessa disabilità o che ne abbiano di simili. Nel costruire un libro tattile o del materiale scolastico per un bambino ipovedente, o nel riprodurre un’opera d’arte nella sua versione tattile, uso delle conoscenze che ho ben presenti in quanto ipovedente. Ad esempio, so bene quando un rosso acceso sia fastidioso per gli occhi e la fotosensibilità della persona ipovedente che si relaziona con un prodotto. Questa è una conoscenza che ho io in prima persona, e che tengo in conto in fase di progettazione e di esecuzione del progetto, insieme a tutte le altre accortezze tattili necessarie. Lavorare per la disabilità con la disabilità, è un valore aggiunto nel mio lavoro e in quello dell’Associazione. Una visione così “interna” della situazione, e delle necessità che ne derivano, diventa una competenza creativa fondamentale per avere un risultato artistico adatto, realmente accessibile e inclusivo. 

Foto di Associazione ConTatto

Visto che ne stiamo parlando, ci racconti in dettaglio di cosa si occupa la tua Associazione?

L’ Associazione ConTatto, in cui ho svolto una parte di Servizio Civile e di cui poi sono diventata presidente, si occupa di tiflologia (scienza che studia le condizioni e le problematiche delle persone con disabilità visiva al fine di indicare soluzioni per attuare la loro piena integrazione sociale e culturale, A.D.R) e di tiflodidattica (studia le problematiche di persone con disabilità visiva nella sfera dello studio, A.D.R). È all’interno dei Servizi Sociali dediti alle disabilità sensoriali del Comune di Torino. Diamo in prestito materiale scolastico per studenti ciechi e ipovedenti per ogni ordine e grado. Insegnanti e genitori possono accedere al laboratorio e scegliere secondo necessità; il prestito gratuito e il materiale può essere reso a fine anno scolastico. Se necessario creiamo anche materiale ad hoc.
La parte artistica però la teniamo principalmente per la parte laboratoriale, abbiamo un vero e proprio laboratorio artistico dove vengono progettati libri tattili per bambini. Viene scelto un libro per l’infanzia, si scrive una sintesi della storia (anche a seconda dell’età del destinatario) e si fa una sorta di sceneggiatura, dove si predispongono le pagine in modo che abbiano una parte scritta (per genitori o adulti che leggono) e una parte tattile da far toccare al bambino. Eventualmente aggiungiamo anche la stampa in braille. 

La parte tattile è quella in cui ho trovato modo di coniugare arte e competenze tecniche e personali: l’obiettivo è quello di creare delle immagini per far sì che il bimbo sia coinvolto nella storia. Per chi vede, leggere un libro mentre si guardano le figure significa proprio questo: figurarsi luoghi, personaggi, farsi un’immagine mentale. E come può un bimbo farsi un’immagine mentale? Attraverso il tatto. Un albero non lo ricreerò con un disegno, con linee e sfumature di colore della corteccia e delle foglie: nei libri tattili l’immagine di un albero la rendo grazie a un pezzo di corteccia (magari anche vera) e qualcosa di liscio, che abbia scanalature, come le hanno le foglie al tatto. Per un bambino cieco l’albero è un mix di sensazioni tattili, per un bambino vedente l’albero è un mix di sensazioni visive. Insomma, la sfida sta nel tradurre tattilmente il visivo. C’è un processo ideativo e creativo dietro per me sempre molto emozionante, perché per certe immagini mi ritrovo a ingegnarmi per trovare quanto di più simile e realistico ci sia al tatto… Non sempre possiamo mettere materiali reali: nel libro sugli animali marini che abbiamo creato qualche anno fa non potevamo di certo mettere alghe o lische di pesce!
Oltre alla sensazione tattile, il processo artistico ha anche l’obiettivo di conoscenza ed esplorazione. Spesso le immagini che creiamo si possono “spostare” sulla pagina, e portare da un angolo a un altro, per ricreare la dinamica della storia.

Foto di Associazione ConTatto

Qual è il stato il tuo progetto più soddisfacente?

Il mio lavoro preferito è stata la progettazione tattile de “Il Lupo che entrava nelle fiabe”. Per me è stato un successo sia artistico che personale. Insieme al libro abbiamo progettato dei percorsi laboratoriali aperti a bambini con disabilità sensoriali e non, in ottica di inclusione. Siamo all’interno di una cordata di lavoro (che si chiama Colorandia, e che include 4 associazioni del territorio) che lavora con gruppi di bambini disabili e non, con attività sull’inclusione dove a essere inclusi sono i bambini senza disabilità, e non il contrario. In pratica abbiamo fatto degli incontri il cui fil rouge era proprio la storia de “Il Lupo che entrava nelle fiabe”, e abbiamo fatto un lavoro sui sensi: non abbiamo fatto nessuna attività legata alla vista, ma era tutto un potenziamento degli altri 4 sensi e ci siamo concentrati molto sul tatto, in modo che bambini ciechi e non scoprissero insieme materiali e sensazioni, e si creassero immagini mentali a partire dalle nostre creazioni, senza nessuna situazione di diversità. Anzi, a livello educativo ed esperienziale è servito sia per potenziare gli altri sensi che per mettersi nei panni degli altri.

Quindi l'arte ha spazio nel lavoro sociale?

Per me sì, assolutamente. Quando ho messo a disposizione il mio talento artistico nel sociale ho trovato il mio posto, ho sentito come completa la mia voglia di comunicare artisticamente, e ho trovato un unione tra la mia formazione artistica e la mia personalità. Nel sociale l’arte ha molto spazio, soprattutto se può seguire le inclinazioni personali (come nel mio caso) e può aprire canali di comunicazione inclusivi. Spesso durante i laboratori ho accolto tante curiosità di genitori con bimbi ciechi e ipovedenti. Mi chiedevano del mio percorso professionale, delle mie consapevolezze e delle possibilità che mi sono creata (insieme a quelle fortuite che ho trovato nel mio cammino artistico). In quanto disabile adulta posso sostenere i genitori nel concepire per i figli un percorso positivo, la possibilità di seguire la propria strada a prescindere da tutto. Pensando al mio percorso dico sempre ai genitori che ogni bimbo può e deve avere i suoi tempi. D’altronde non è una gara, si tratta solo di vivere la propria individualità con piena partecipazione, dando spazio alle nostre caratteristiche e dando la possibilità ai nostri talenti di esprimersi, a prescindere dalle abilità o dalle condizioni con cui ci presentiamo al mondo.

ALESSIA GRAMAI

Writer
Psicologa, (quasi) sessuologa, sarda, femminista.
Polemica, a volte; troppo concentrata su cosa succede nel mondo, spesso; piena di dubbi, sempre.