
La generazione degli “egoisti”, indifferenti e disinteressati alle diseguaglianze sociali.
Ancora una volta etichettati come coloro che “hanno potenziale ma non si applicano”.
Queste sono le ormai fin troppo banali risposte a cui dobbiamo assistere.
Sfatiamo questo stereotipo: i giovani fanno volontariato e per alcuni diventa anche proprio scopo di vita.
Stefano Rolfo ne è un chiaro esempio: 25enne di Rivoli, che da qualche anno ha intrapreso un percorso di volontariato schierandosi dalla parte dei “dimenticati” fino ad arrivare a dare vita ad una vera e propria organizzazione no profit situata in Tanzania.
Ciao Stefano!
Partiamo subito cercando di capire qual è stato il percorso che ti ha condotto a questo progetto?
La nascita di questo progetto deriva da due storie intrecciate nell’arco dell’ultimo anno: la mia e quella di Stefano Lotumolo, che da diverso tempo condividevamo l’uno con l’altro i nostri sogni per le comunità in cui ci eravamo imbattuti.
Ero in Senegal quando abbiamo iniziato a parlare di un ulteriore step per la realizzazione di quei sogni in comune, di una portata non indifferente.
Il mio intento era quello di convogliare la musica e il volontariato affinchè quelle realtà, per lo più sconosciute al mondo adagiato, ricevessero la giusta attenzione per veicolare informazioni rispetto alle condizioni di vita che molte popolazioni si ritrovano ad affrontare per la loro sopravvivenza.
Stefano in quel momento si stava recando in Tanzania per la quarta volta dalla famiglia Maasai che da qualche anno era legata a lui.
Vivere immerso totalmente nella cultura del villaggio di Philipo, guerriero Maasai, assistendo a scene di vita quotidiana raccapriccianti, ha smosso ulteriormente la fiammella che già ardeva nel cuore di entrambi.
Veder bambini abbeverarsi da pozzanghere melmose reduci dalla stagione delle piogge, nel 2020, ha permesso di valicare ogni limite per la creazione di una ONG.
Cosa rappresenta per te questo progetto?
Da anni volevo aiutare queste realtà locali in difficoltà.
Noi occidentali pensiamo spesso di poter cambiare le cose in contesti che non ci appartengono, ma credo che con dedizione, unione e persone non interessate ad alcun tipo di guadagno, tutto sia possibile.
Non abbiamo intenzione di sottomettere queste popolazioni alle nostre usanze e voleri. Vogliamo, invece, prestargli supporto al fine di migliorare le loro condizioni di vita.
Questo ci motiva a svegliarci la mattina con la positività e la voglia di fare che solo una causa del genere può generare. Ed essere circondato da persone che vogliono collaborare per rendere questo mondo un posto migliore, mi rende ancora più grato.
Viviamo in un’epoca dove in molti hanno compreso che da soli si combina ben poco, ma unendosi, qualsiasi cosa può essere realizzata.
Il mondo, soprattutto ora, ha bisogno di persone che non puntino al successo e alla fama, ma a fare la differenza.
In qualunque modo e contesto possibile, abbiamo il dovere di cambiare le carte in tavola per il bene comune.
La Tanzania non è una scelta casuale, giusto?
No, è stata scelta per aiutare in primis la comunità di Philipo e tutti i villaggi circostanti, costretti a vivere una vita colma di privazioni.
Mentre il mondo progredisce, la popolazione Maasai viene vista come un’attrazione turistica, sempre disponibile a ricevere qualche soldo in cambio di foto da copertina, continuando a vivere un’esistenza piena di insidie e problematiche facilmente ovviabili.
Vogliamo portare un aiuto concreto per dar manforte a chi è sempre stato lasciato indietro.
Quali obiettivi vi siete prefissati?
Il primo che ci siamo posti è la costruzione di pozzi limitrofi ai Boma in cui vivono i Maasai.
Al momento abbiamo in corso ispezioni geologiche per capire dove sarà più consono iniziare a costruire.
Inoltre, l’igiene, l’istruzione, l’infibulazione (che, seppur illegale a livello nazionale, viene ancora praticata dalle popolazioni indigene), così come l’emancipazione della figura femminile, sono alcuni dei punti principali già in fase di sviluppo.
Stiamo collaborando con un’altra Ong, Smiley Hand Organization Tanzania, situata in pianta stabile nel nord del paese, per portare avanti diversi programmi che necessitano di un supporto per l’avanzamento.
Nicola, il fondatore della suddetta associazione, ha già dato lavoro a diverse donne Maasai, solitamente relegate alla vita della savana, giornate trascorse a badare al bestiame e ai loro piccoli.
Fornire loro un’istruzione garantirà gli strumenti per raggiungere l’indipendenza, salvandole anche dai matrimoni combinati, nei quali spesso ragazzine adolescenti finiscono in spose ad anziani con già mogli al seguito.
Ci stiamo occupando anche dei fondi che verranno impiegati per la costruzione di una classe e del finanziamento delle scuole “Under the tree”, presenti per provvedere un minimo di istruzione ai bambini che non possono recarsi nelle scuole, troppo lontane dai loro villaggi.
E’ pensiero comune che creare una ONG sia difficile burocraticamente parlando e necessiti di conoscenze, quanto di questo è vero?
In parte può essere considerato vero.
A livello burocratico ci sono diverse questioni da tener conto e stabilire affinchè la macchina sia avviata.
Innanzitutto bisogna registrare l’associazione sia nel paese in cui si vuole agire che in territorio nostrano, e a livello legale le due verranno considerate come entità differenti.
Per fare ciò bisogna redigere lo statuto e l’atto costitutivo dell’Ong e avere a che fare con commercialisti e specialisti del settore.
Per fortuna nel team abbiamo persone competenti in grado di gestire la faccenda.
Non abbiamo ancora terminato il processo, anche a causa della pandemia, ma prossimamente sarà tutto pronto.
Parliamo dei tuoi progetti futuri: so che vorresti aiutare i bambini Talibe, hai già qualche cosa in mente?
Nel mio piccolo cerco ancora di aiutare l’associazione che assistevo nel mio viaggio indeterminato di volontariato.
I bambini del Senegal costretti a vivere in quelle condizioni hanno ricevuto diverse donazioni ad inizio anno in seguito ad una raccolta fondi effettuata, da me, tramite i social.
Questo ha permesso di procurare centinaia di paia di ciabatte per riparare i loro piedi perennemente scalzi, materiale medico, fondi per coprire possibili emergenze sanitarie, oltre ad un pasto più completo di un semplice panino e maionese, consegnato ogni venerdì a più di 400 bambini.
I Talibe sono forzati a chiedere l’elemosina ogni giorno della loro infanzia per autosostenersi nel pagamento della retta giornaliera e devono procacciarsi del cibo per non pesare sulle spalle del marabout (loro insegnante nelle Daara, scuole coraniche in cui sono rilegati dai 5 ai 17 anni, lontani centinaia di chilometri dalle loro famiglie), i quali, più delle volte, puniscono corporalmente i piccoli in caso di mancato guadagno monetario.
Dal 2017 ad inizio 2020 sono stati registrati 17 bambini assassinati nelle Daara per disubbidienze.
Molti hanno provato a scappare in passato, ma ogni tentativo risulta vano.
Come vorresti collegarlo a questo progetto nascente?
Non appena diversi programmi saranno avviati in Tanzania, parte della nostra attenzione verrà spesa anche per creare una connessione con le associazioni locali situate sulla costa ovest.
Purtroppo la questione dei bambini Talibe va oltre i confini del Senegal; ogni paese musulmano dell’Africa occidentale presenta la stessa istituzione, figlia di una credenza inscalfibile.
Molti si rendono conto delle crudeltà attuate sui bambini, eppure la questione è ormai talmente insita nel loro sistema che sembra davvero impossibile fare qualcosa. Molti politici affrontano il tema ma tutto finisce con poche parole di speranza poi lasciate al vento.
Inizialmente, agiremo per dare una mano alle piccole realtà locali che ogni giorno soccorrono gli allievi, ma il mio sogno è quello di interpellare movimenti internazionali quali Amnesty International e altre associazioni che lottano affinché la convenzione dei diritti umani venga rispettata¹.
In un modo o nell’altro agiremo per incentivare il cambiamento.
Note:
¹Nell’89 diverse nazioni hanno riconosciuto che ogni fanciullo ha un diritto inerente alla vita, che vengano garantite la sopravvivenza e lo sviluppo del bambino e che l’insegnamento primario sia obbligatorio e gratuito per tutti.