A SUCCESSION OF REPETITIVE BEATS
1994.
In tutto il Regno Unito risuonano i battiti cadenzati della musica techno, motore di una nuova cultura giovanile che cerca la propria autoaffermazione. È il momento dei free party, o rave, allocati in vecchie aree industriali abbandonate, boschi, ovunque la società dogmatizzata e perbenista non arrivi.
I ragazzi accendono le casse e il governo di Jhon Major risponde. Il Criminal Justice Act del 1994 si scaglia contro i rave e il loro tentativo di abdicare alle regole precostituite dalla società. Sono vietati gli assembramenti di venti o più persone in cui si ascolti musica in maggioranza composta “by the emission of a succession of repetitive beats”.
Proprio Beats è il titolo del film diretto dal trentaseienne Brian Welsh, all’attivo quattro lungometraggi e alcune serie TV, tra cui cinque episodi della premiata serie Black Mirror.
La pellicola, presentata in anteprima al 37° Torino Film Festival, si immerge a pieno ritmo nel movimento di controcultura giovanile scozzese e racconta l’amicizia tra Jhonno (Cristian Ortega) e Spanner (Lorn MacDonald).
I due ragazzi non potrebbero essere più diversi. Jhonno è timido, insicuro, un ragazzo per bene di famiglia per bene, con un patrigno che fa il poliziotto. Spanner è, invece, esuberante, il classico sbandato del quartiere, senza una guida se non quella del fratello maggiore violento e criminale. I due, però, sono uniti da un’amicizia speciale, un rapporto simbiotico come solo quello tra adolescenti può essere e l’estate del 1994 per loro costituirà un vero e proprio rito di passaggio. Insieme alle disinibite Alison, Cat, Laura e Wendy, i ragazzi conosceranno i primi amori, i covi segreti dei giovani, e parteciperanno, contro tutto e tutti, ad un free party evento, annunciato clandestinamente alla radio.
In bianco e nero e con una colonna sonora che fa venir voglia di ballare, Beats è un coming-of-age potente, esplosivo come il movimento giovanile che racconta. Un film carico di eccitazione, capace di proiettare lo spettatore sullo stesso filo del rasoio su cui viaggiano i personaggi, sempre in bilico tra la sicurezza delle norme sociali e il desiderio di trasgressione. Un’atmosfera, questa, che non può non richiamare alla mente l’ormai cult del cinema anni Novanta, Trainspotting. Sarà l’ambientazione scozzese, sarà che siamo negli stessi anni, sarà che Spanner sembra avere un corredo genetico combinato tra Sick Boy e Spud, ma i due film, sebbene con temperature differenti, parlano una linguaggio comune.
E dire che la genesi di Beats non è stata facile. Dopo diversi tentavi da parte di Welsh di realizzare un lungometraggio sui rave degli anni Novanta, il dardo è andato a segno grazie all’omonima opera teatrale di Kieran Hurley, vincitrice di diversi premi tra cui Best New Play at Critics’ Awards for Theatre in Scotland (CATS). In questa sceneggiatura l’equilibrio eccellente tra le vicende personali e la discussione sociopolitica hanno trovato il plauso del regista, la cui collaborazione fruttuosa con Hurley nell’adattamento cinematografico non ha deluso le aspettative.
Il film raggiunge momenti altissimi, che siano di musica a tutto volume o di eloquenti silenzi.