Deo so sardu: riflessioni sulla Sardegna

Deo so Sardu. Io sono sardo.

A lungo è stato qualcosa di difficile per me da accettare pienamente, anche perché io forse non sono veramente sardo: non sono infatti nato in Sardegna ci ho mai trascorso un periodo di tempo più lungo di qualche settimana estiva.

La mia origine però è da ricercarsi in quest’isola, fra i piccoli paesini rurali del Campidano, la grande pianura a nord ovest di Cagliari, una delle poche zone decisamente fertili della Sardegna.
Qui, in piccoli ed umili centri di contadini e pastori, luoghi dal nome così antico e così spiccatamente sardo come San Gavino Monreale, Decimomannu, Assemini, i miei nonni paterni nascevano e vivevano, conducendo una vita non certo facile: mia nonna già alla verde età di 12 anni trascorreva intere giornate a raccogliere carciofi sotto il cocente e terribilmente anidro sole sardo, mentre mio nonno, di quattro anni più grande, si spaccava la schiena lavorando in miniera. In realtà niente di strano: la storia dell’Italia del sud nel secondo dopoguerra, è piena di storie come queste.


Le campagne del Campidano. Fonte: http://aserramanna.it

 

Com’era uso allora, si sposarono molto giovani e condussero nei primi anni una vita abbastanza errante, senza stabilirsi a lungo in una sola cittadina, come testimoniano le carte d’identità di mio padre e dei miei zii: dei loro cinque figli, ben quattro sono nati in Sardegna a poca distanza di tempo l’uno dall’altro, ma tutti in luoghi diversi.
Poi, quando mio padre aveva solo sei anni, la svolta: si va a Torino, la grande città industriale del nord.
Si salutano i fichi d’india, il mirto, il mare davanti al Poetto.
Una trentina d’anni più tardi sono nato io.

Un caratteristico paesaggio costiero sardo, con le piante di fichi d’india a fare da contorno. Fonte: Pinterest

All’epoca dei miei primi anni di vita, i miei nonni non vivevano più giù da decenni, ma parlavano ancora fra loro in dialetto sardo strettissimo e la squisita cucina di mia nonna (come tutti i nipoti sono ferocemente di parte quando si parla della qualità del cibo della nonna) attingeva a piene mani dalla tradizione gastronomica dell’isola. Il contrasto con il mio contesto sociale quotidiano, così torinese, così asettico, era tale che quando andavo a trovarli mi sembrava di andare in vacanza in Sardegna, nonostante il fatto che in realtà mi fossi spostato di pochi chilometri all’interno di Torino.

Ecco quindi che, in qualche modo, nel corso della mia infanzia e della mia giovinezza, gli odori e i sapori della terra da cui lontanamente provengo mi hanno cullato molto di più di quanto abbiano fatto i prodotti di Torino, mia città natale.
Porto nel mio cuore, avvolto in una nube carica di tenerezza e nostalgia, il dolce ricordo del profumo dei malloreddus con la salsiccia, dei pirichitti, delle pardulas, preparati con somma maestria e infinita dedizione da mia nonna.
Non è questione di vacua retorica: è davvero un piccolo tesoretto che voglio che mi tenga compagnia per il resto della mia vita.

Le meravigliose pardulas sarde. Fonte: Ricette di Sardegna

Ma se provo ancora questo vasto insieme di sensazioni positive legate alla Sardegna, perché avevo difficoltà a metabolizzare la mia origine? La risposta è tanto semplice quanto desolante: ignoranza.

Nello stesso periodo in cui mi beavo dello studio dei classici, in cui mi immergevo fra le appassionanti orazioni di Demostene e le struggenti dediche di Catullo alla sua Lesbia, commettevo uno sbaglio che nessun abitante del mondo antico avrebbe mai fatto, quello di rinnegare le proprie provenienza, il proprio sangue, la propria Itaca. Dall’alto della mia presunzione, a mio agio nell’elegante cultura sabauda, mi vergognavo all’idea che i miei interlocutori potessero accostarmi allo stereotipo del pastore della Barbagia, piccolo, peloso e poco colto, con la sua parlantina stramba, così facilmente riconoscibile per chiunque viva nel Bel Paese.

Devo dire che non sono stato aiutato dalla disinformazione sulla Sardegna: quando si pensa a quest’isola, così sfacciatamente selvaggia, così orgogliosamente indomita, a molti viene ben poco in mente oltre a quel piccolo custode d’armenti.
Certo, c’è la Costa Smeralda, ci sono le spiagge bianchissime della Gallura, ma la Sardegna è molto di più di una cartolina per un branco di turisti.

Di fatti, cosa ne sanno loro della storia millenaria dell’isola, della dominazione punica, del suo Medioevo, sospesa fra il dominio bizantino e le rivendicazioni autonomiste?
Cosa sanno della feroce lotta del Giudicato di Arborea contro gli odiati conquistatori aragonesi?
Cosa sanno dell’ecosistema, unico al mondo, del Gennargentu, della volpe sarda, del muflone, del gatto selvatico sardo? Dei boschi di ginepro e di tasso della Barbagia?

I boschi e i sassi della Barbagia. Fonte: La Stampa

La Sardegna poi ha anche un altro aspetto meno conosciuto: è stata una grandissima fucina di straordinari politici, tra cui due Presidenti della Repubblica (Segni e Cossiga) e due leader comunisti di primissimo piano come Gramsci e Berlinguer.
Anche gli intellettuali, seppur in misura minore rispetto ad altre regioni, non sono mancati: fra gli altri posso citare lo stesso Gramsci, a mio modesto parere il più grande pensatore italiano del secolo insieme a Benedetto Croce, il premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda e lo scrittore e politico Emilio Lussu, autore di quella pregevole testimonianza della Grande Guerra che è
Un anno sull’altopiano.

Non nascondo che non ho mai sopportato il turismo “moderno”, colpevole nella mia visione, francamente un po’ generalista, di distruzione dell’ambiente, di consumo dei litorali, di inquinamento marino; il tutto poi per sollazzarsi, uno a qualche piede di distanza dall’altro, in onnipresenti stabilimenti balneari privati, vere e proprie prostitute costiere d’Italia.

Ma colpevolizzare e criminalizzare il turismo sarebbe uno sbaglio altrettanto grande della sua esaltazione.
La via maestra da seguire non è la
deturistizzazione, che sarebbe un passo ormai utopistico e innegabilmente dannoso per una buona fetta della nostra economia, ma è bensì l’insegnamento di un modello alternativo di turismo, meno invasivo, meno dinamico, più rispettoso dell’ambiente e della storia.
Bisogna staccarsi dall’idea consumistica di avere la bellezza del paesaggio subito a portata di foto, ma bensì spingere i visitatori anche a saper e voler cercare il bello.
Non fermatevi al lusso accecante di Porto Cervo e del
Billionaire, spingetevi anche nell’entroterra, cercate i prodotti tipici, i formaggi, il maiale.
Provate a scambiare due parole con la gente del luogo, con i pastori, con gli anziani di cui questa terra è ricchissima e che costituiscono tutt’ora una memoria storica formidabile.

L’emergenza COVID19 non sembra preoccupare questo pastore sardo in groppa alla sua asina e munito di mascherina. Fonte: Il Mattino

Se volete godervi il mare, cercate anche le spiagge un pochino più selvagge, più sperdute, senza sdraio e ombrelloni pronti.
E poi non trascurate anche di visitare le città: la troppo sottovalutata Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano se non altro.

Un bellissimo panorama di Cagliari con i suoi mille colori. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Però vi chiedo un solo favore: abbiate il massimo rispetto per questa terra, approcciatevi con la stessa venerazione con la quale io, molti anni fa, entravo in cucina di mia nonna a spiare cosa ci fosse in forno. Godetevi uno dei luoghi più belli del mondo, ma con la premura di sbirciare un poco alla volta, senza accontentarvi di una visione superficiale e pensando magari di dare la possibilità anche ai vostri figli di ripetere la vostra stessa esatta esperienza, con lo stesso immutato paesaggio naturale.

Citando Davide Rampello, l’inviato di Striscia la Notizia che viaggia nella Penisola per farci scoprire le sue bellezze più recondite, venite in Sardegna come ospiti, non come turisti.

EDOARDO ANDREA CANCEDDA

Writer
Bizzarro incrocio fra scienziato e umanista, da sempre coltiva l'hobby di esprimere opinioni
assolutamente non richieste su tematiche più grandi di lui, sentenziando in moda barocco su politica e società.
Alla perenne ricerca di una propria identità partitica, è fermamente convinto che la vita non sia altro
che una partita a scacchi contro il tempo.

This Post Has One Comment

  1. Olbia

    Per uno che ne abbiamo convinto ce ne sono mille che continuano a non rispettare la nostra terra, a volerla persino cambiare, “migliorare”, adeguare ai loro standard di cittadini metropolitani, e tra questi mille, 999 sono sardi che vorrebbero essere altro.
    Ciao Edoardo, bello il tuo articolo!

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