Egoismo o limite umano? Non solo Beirut – Come reagiamo di fronte alle catastrofi “lontane”?

Agosto è iniziato, tra le altre cose, con la notizia delle esplosioni di Beirut, in Libano. 

Le esplosioni sono state filmate da più persone e da diversi punti di vista, e alcuni dei video che girano in rete sono stati fatti da smartphone amatorialmente. Le conseguenze delle esplosioni sono tragiche: si contano 220 morti, 7,000 feriti – molti anche gravemente -, 300.000 persone senza casa e un totale di 15 miliardi di dollari di danno. Una vera e propria catastrofe a cui abbiamo assistito, in differita, dai nostri telefoni e in TV.
Attualmente, la tecnologia ci permette di essere testimoni quasi oculari, ma in differita, di ciò che accade nel mondo, anche a km di distanza; ma qual è il livello del nostro coinvolgimento emotivo?
Essere testimoni di un incidente, una strage o una catastrofe, dove una o più persone rischiano la vita o la propria incolumità fisica, può essere un trigger (innesco) molto impattante sul nostro equilibrio emotivo e psicofisico: la diagnosi di Disturbo Post Traumatico da Stress inserisce tra i possibili inneschi dei sintomi non solo essere le vittime dirette di un incidente o di situazioni di rischio, ma anche l’esser testimoni e/o vittime secondarie di un evento negativo che coinvolge altre persone, evento che mette a rischio l’altrui sopravvivenza o salute fisica.
Vedere dagli schermi (anche in maniera così esplicita, come nei video di Beirut) ciò che succede nel mondo non significa però essere testimoni oculari di quanto succede: per quanto alcuni di noi siano molto sensibili alle immagini delle tragedie, ciò non va a costituire un trigger traumatico, e in questo senso lo schermo fa da filtro per l’impatto emotivo che ne potrebbe derivare. Meno male, viene da dire: con l’accessibilità attuale alle notizie del mondo saremmo letteralmente sopraffatti emotivamente dalle tragedie, dalle catastrofi e dagli incidenti che ogni giorno accadono sul nostro pianeta.

 

Succede però che…qualcosa succede, a livello emotivo (e fisiologico: le emozioni sono soprattutto reazioni bio-chimiche che accadono nel nostro corpo). Memorizziamo e siamo coinvolti emotivamente soprattutto con video o notizie che raccontano di persone specifiche: ci colpiscono emotivamente le storie e le tragedie personali delle vittime. Ci ricordiamo tutti, ad esempio, del piccolo Alan Kurdi? E il falling man dell’attentato delle Torri Gemelle? O per contro, ci ricordiamo qualche volto delle vittime dello tsunami del 2004? O dei vari rapimenti di Boko Haram? O le vittime della sparatoria di Las Vegas del 2017?

 

Pensando a Beirut, è molto intuitivo capire la differenza “di pancia” di questo video rispetto alla sensazione (molto razionale) della lettura dei dati di questa tragedia. 

Pensando al Coronavirus e ai morti da Covid-19: che differenza emotiva sentiamo tra il visitare il sito del New York Times (con nomi, cognomi e una breve ma emozionante descrizione della persona venuta a mancare) e il leggere i report tecnici dei numeri della pandemia?

Quelli elencati sono solo alcuni degli eventi tragici degli ultimi decenni, e sono da stimolo per spiegare la differenza che il nostro cervello fa nel coinvolgersi emotivamente nelle notizie di fatti gravi. Quando al centro della narrazione ci sono una o più persone riconoscibili, tendiamo a “umanizzarle” immediatamente e ad attivare la nostra empatia, sentendoci coinvolti emotivamente nelle sorti di queste esseri umani, dispiacendoci, commuovendoci, muovendoci anche per saperne di più (e magari fare qualcosa).

Ma quando una tragedia o una catastrofe ha tante vittime coinvolte, il livello di empatia non è lo stesso: questo fenomeno è conosciuto come Psychic Numbing, termine che possiamo tradurre con intorpidimento psichico. Questo fenomeno può spiegare perché, di fronte a una strage o a una catastrofe umanitaria, la nostra empatia non sia completamente attiva, e la notizia dell’evento entri nella nostra consapevolezza a livello razionale ma non emotivo. In altre parole: il nostro interesse per la notizia della catastrofe, se i numeri delle vittime è alto, tende ad essere più intellettuale che non emotivo: leggiamo la notizia, facciamo analisi, ci informiamo anche molto bene e ci creiamo un’opinione, ma l’emotività è tenuta a livello minimo. Il che di base è normale e quasi funzionale, con tutta la massa di informazioni negative e gravi che arrivano; ma dall’altra, se automatico e inconsapevole, questo meccanismo ci rende spettatori passivi dei dolori del mondo, soprattutto di gruppi o di comunità “lontane”. Questo significa che quando una tragedia coinvolge delle vittime “vicine”, cioè simili a noi (per esempio, persone con cui condividiamo la nazionalità, l’età, l’orientamento religioso…) siamo più propensi ad essere emotivamente coinvolti, ma lo Psychic Numbing agisce anche qui, se il numero delle vittime è troppo alto. Essere spettatori passivi a sua volta ci porta a non leggere tra le righe le ingiustizie e in generale il “ciò che non va” sotto una strage o una tragedia. E se non leggiamo l’ingiustizia non sentiamo indignazione o compassione, e quindi si passa alla notizia successiva, all’analisi successiva, all’informazione successiva, come se niente fosse.

Sono numerosi gli articoli di opinione (molto poco scientifici, in realtà) che sottolineano che i giovani, e soprattutto i Millennials, siano ancora più egoisti e apatici di fronte ai dolori del mondo, tanto da essere definiti (anche dal TIME) la “Me Me Me Generation”. Ma è proprio così?
In realtà il fenomeno dello Psychic Numbing coinvolge tutti, anche nel passato: spiegherebbe l’indifferenza di massa delle grandi tragedie del Novecento. Si può quindi affermare che questo meccanismo sia collettivo, e prescinda dalla generazione di cui si fa parte. 

La controparte di questo fenomeno, su cui come esseri umani dovremmo riflettere, è il meccanismo dell’empatia in sé e per sé: è un meccanismo molto umano e con una forte base biologica, che l’evoluzione ci ha fatto mantenere perché utile alla sopravvivenza e alla nostra crescita come individui e come specie, ma che si attiva e funziona molto bene quando è rivolta a una singola persona o a poche persone, riconoscibili, percepite come simili e vicine a noi. Tutto il contrario dell’egoismo, insomma. 

Eppure lo Psychic Numbing è dietro l’angolo, quando il numero delle vittime è alto. Cosa fare per muoversi nella complessità sociale globalizzata che viviamo senza cadere nell’indifferenza (a volte anche cinica?). 

Sicuramente partire dalla consapevolezza di questo meccanismo: riconoscendolo riusciamo a non cedere all’apatia, perché sappiamo che, se accade una tragedia, c’è sotto qualcosa che umanamente non va e tante persone hanno sofferto. In secondo luogo, possiamo sfruttare la razionalità per cercare attivamente di fare azioni utili per gli effetti di quella tragedia o per quella situazione specifica.
Niente onnipotenza, chiaramente; ci sono cose che non dipendono direttamente da noi e che non possiamo cambiare attivandoci da soli.  Ma possiamo essere autori attivi nel cambiamento, partendo dall’essere presenti a noi stessi e consapevoli delle scelte che facciamo.
A volte basta anche capire, dietro le tragedie, se c’è qualcosa che nel nostro piccolo possiamo fare: conoscete l’effetto farfalla?

ALESSIA GRAMAI

Writer
Psicologa, (quasi) sessuologa, sarda, femminista.
Polemica, a volte; troppo concentrata su cosa succede nel mondo, spesso; piena di dubbi, sempre.