
Prima di questa pandemia l’argomento principale era l’immigrazione; tutti i media focalizzavano ogni tipo di discorso su questa tematica e la politica accentrava l’attenzione, spesso usando slogan o notizie poco veritiere.
Ci siamo mai chiesti cosa significhi lasciare tutto e partire per far fortuna?
Vivere ed adattarsi ad una società lontana dalla nostra, con usi e costumi diversi?
Molte persone non analizzano le singole problematiche di chi si trova costretto ad abbandonare il proprio paese.
Non voglio partire dai motivi per i quali una persona si trova costretta ad abbandonare il proprio paese natio, poiché molti sono già ben noti, bensì dal viaggio e dal processo di assorbimento in una società estranea alla propria.
Da un giorno all’ altro ci ritroviamo in un altro paese, in un’abitazione estranea, magari condivisa con altri estranei, che spesso parlano lingue diverse, con scarsa possibilità di capirsi; l’unico mezzo per comunicare è uno schermo, una fonte di affetto con i propri cari a migliaia di chilometri di distanza. Quelle facce sullo schermo che si congelano perché la linea non è buona, le voci metalliche ed artificiali, una volta vicine e famigliari, ora ridotte a semplici suoni, spesso incomprensibili.
La vita quotidiana non è facile; persino andando al supermercato per comprare i generi di prima necessità, si hanno difficoltà!
Non sempre sono disponibili i prodotti a cui si è abituati e, nel caso in cui ci siano, sono costosi.. Oltretutto per i generi di consumo locali, le etichette sono rigorosamente nella lingua del paese ospitante.
Per imparare l’idioma locale è necessario tempo, che spesso per lavoro e per la stanchezza non si ha, quindi l’integrazione risulta ancora più difficoltosa.
Ci si sente gli ultimi della società…
Gli sguardi ed i commenti negativi sono il pane quotidiano (“ci ruba il lavoro, rovina i nostri diritti, occupa una casa che potrebbe essere assegnata ad uno di noi, ecc…”); sebbene spesso ci si trovi in un paese con una mentalità più aperta, la diffidenza e la paura per l’estraneo prevalgono, rendendo tutto più complicato.
Prendendo i paesi del Nord Europa come esempio, nettamente più avanzati a livello sociale, multiculturali e con ottimi servizi: i locali, sebbene molto accoglienti, tendono a non legarsi con gli stranieri.. Sorridono, sono gentili, ma tu non sei uno di loro e tale rimani.
Ed ecco perché spesso si sono create situazioni di ghettizzazione, soprattutto in Svezia (Göteborg), città oramai diventata socialmente complessa.
La complessità della vita all’estero è anche nell’usufruire dei servizi di base, come polizia, ospedale o semplice dentista…
Spiegare ad un medico quali siano i sintomi o cosa sia successo ad un poliziotto che magari non parla inglese, è tutt’altro che semplice.
Mi viene in mente un esempio nella mia esperienza di italiano all’estero: il dentista. Trovai difficoltoso spiegare cosa fosse successo e capire cosa avrebbe fatto il medico, la comprensione reciproca era ridotta al minimo, a dei semplici gesti con le mani.
Perché sì, quando pensiamo ad un immigrato appena ‘sbarcato’ dobbiamo renderci conto di queste comuni difficoltà nella vita quotidiana!
Un emarginato, un non integrato nella società, può iniziare a vivere di espedienti, potenzialmente diventando un criminale… Ed ecco che si spiega la frequente (o la presunta) correlazione tra reati ed immigrazione.
Se un individuo si sente incluso, salvo qualche caso, non è portato a delinquere, pertanto politiche mirate ad una corretta integrazione, unite ad una cultura del rispetto e dell’inclusione sociale, sono la chiave fondamentale per una società avanzata e multietnica in cui vige la parità sociale.