Il fatto della settimana: pandemia e scuola, una vergogna italiana

Che la scuola e l’istruzione non fossero la priorità della politica e (peggio ancora) di buona fetta della società (tendenzialmente quella identificabile con il mito della “piccola-medio impresa che ha fatto grande l’Italia”, tanto agiografato dal Capitano e i suoi) si sapeva.
Ma il valzer imbarazzante esibito dal mondo della politica in quest’ultima settimana è andato anche oltre le mie previsioni più nefaste.

La riapertura delle scuole, anche per gli alunni delle scuole superiori, fissata al 7 gennaio, è stata uno dei punti cardine dei decreti di dicembre, con Conte e il Ministr* (sic) Azzolina a ergersi a paladini del diritto allo studio in presenza. Probabilmente fosse stato per loro il 7 avremmo veramente visto il ritorno dei ragazzi sui banchi, ma qualcosa è andato di traverso.

Quel qualcosa si chiama il rapporto Stato – Regioni, con tutte le sue modifiche a partire dal testo originario del Titolo V della Costituzione Italiana: ecco dunque gli organi regionali mettersi di traverso, con in testa il politico più di destra fra quelli di sinistra, l’autoritario e totalitario Presidente della Campania Vincenzo De Luca, che, come sempre, per obbedire alla sua coscienza intransigente, o forse alla sua criptica ricerca del consenso, ha deciso di procedere per conto proprio, procrastinando il tanto sospirato rientro almeno al 18 di questo mese. Potevano gli altri Governatori (termine tanto errato quanto da loro amato) non seguire l’illustre esempio?
Macché, c’era il rischio di perdere il confronto macho per decretare il Presidente più autonomo e capace.
Ecco quindi Zaia e Fedriga a seguire il Bonaparte campano, e con loro molti altri.

Risultato? Almeno fino al 5 Gennaio nessuno sapeva bene cosa sarebbe successo dopo l’Epifania.
Poi una pioggia di decreti regionali con cui si fissava il ritorno in ordine sparso, con i soli studenti del Trentino Alto-Adige a poter riaccedere alla didattica in presenza nelle scuole d’istruzione secondaria di secondo grado.

Su tale questione l’Esecutivo Conte ha fatto una gran magra figura, inutile negarlo, rivelandosi completamente ostaggio delle suddivisioni amministrative minori.
La colpa non è però tanto del Presidente del Consiglio né dell’Azzolina, che ha il grande merito di essere stata l’unica vera protettrice degli studenti, l’unica a battersi sempre per loro in questo lungo periodo di emergenza pandemica.

Il problema centrale, riguardante non solo la scuola, ma anche la sanità, è la grande autonomia di cui godono le Regioni fin dalla riforma costituzionale del Titolo V, risalente al 2001.
Una lampante mancanza di gerarchizzazione che rende lo Stato ostaggio di Presidenti regionali, spesso della sponda politica opposta a quella governativa, in cerca troppo frequentemente di un’affermazione personale, nascondendosi col pretesto di tutelare i propri cittadini (o meglio elettori?).

Quella vecchia faina di Matteo Renzi, sempre pronto a sbranare i gallinacei politici meno spregiudicati di lui, ha avuto il merito -onestamente fra i pochi della sua parabolica carriera politica- di intuire questo grosso punto di debolezza istituzionale e di includerlo nella sua riforma costituzionale, tramontata col celeberrimo referendum del 2016.
Poi non se ne è più parlato.
Sarebbe ora, però, di rimettere sul tavolo l’argomento e dare una volta per tutte la precedenza allo Stato in una situazione di braccio di ferro con le regioni: se l’Esecutivo, formato da una maggioranza eletta in occasione delle elezioni politiche, fissa la ripartenza della didattica in presenza per il 7, le scuole riaprono in tale data e i Presidenti delle Regioni si adeguano, magari facendo del loro meglio per una ripartenza in sicurezza, passante necessariamente per lo snodo dei trasporti pubblici.
Sono mesi che mi sembra sempre più di essere in uno Stato Federale, come forse qualcuno vorrebbe, piuttosto che in uno Unitario.

Quanto alle scuole: se alla politica non interessa dell’istruzione, al di fuori dei soliti manifesti elettorali, basta dirlo. Basta essere sinceri.
Ma non bisogna strumentalizzarla, non bisogna farne terreno di battaglia politica, come si fa da anni, dall’inizio degli anni 2000.
Si consideri le varie riforme scolastiche, succedutesi fin da quella di Berlinguer del governo Prodi I.
Un disastro, tentativi di miglioramento uno peggio dell’altro, sempre contestati da chiunque fosse coinvolto in questo mondo.
Avete distrutto la scuola, quella che era uno dei veri vanti dell’Italia. Ora, mi permetto di rivolgere un appello a Lor Signori Politici: mettetevi una mano sulla coscienza e per una volta, per una volta sola, provate a non giocare con il nostro futuro, lasciate stare le nuove generazioni, tenetele fuori dai vostri meschini giochi di palazzo.
E revisionate questo Titolo V, che diamine.

EDOARDO ANDREA CANCEDDA

Writer
Bizzarro incrocio fra scienziato e umanista, da sempre coltiva l'hobby di esprimere opinioni
assolutamente non richieste su tematiche più grandi di lui, sentenziando in moda barocco su politica e società.
Alla perenne ricerca di una propria identità partitica, è fermamente convinto che la vita non sia altro
che una partita a scacchi contro il tempo.