
Elisa non è solo una mia carissima amica: è anche un’ottima giovane scienziata che ha trascorso gli ultimi quattro anni in giro per il mondo, lavorando come dottoranda nel campo della Scienza dei Materiali.
È una viaggiatrice non solo per via del lavoro, ma anche per hobby; il suo curriculum come turista comprende luoghi esotici come l’Oceania, l’Egitto o la Corea, ma anche posti più vicini a noi come i Balcani o la Scandinavia.
La sua vita oscilla fra due poli: una parte di lei è una brillante mente dell’IMDEA, il Materials Institute di Madrid, ma l’altra sua metà non è altro che una semplice ragazza che ama andare a zonzo per il mondo. Quindi, perché non chiedere proprio a lei di raccontarmi qualcosa della sua esperienza come ricercatrice all’estero?

Allora, riassumiamo i tuoi ultimi anni: laurea magistrale in chimica industriale col massimo dei voti e menzione a Torino, poi dottorato di quattro anni all’estero.
Il tuo curriculum ad oggi conta venti pubblicazioni con più di 320 citazioni da parte di altri articoli scientifici. Risultati molto notevoli, specie se rapportati alla tua giovane età, che fanno sì che tu sia una delle ricercatrici più promettenti nel campo della scienza dei materiali.
La tua sembra essere la classica storia della giovane promessa scappata dall’Italia per trovare un futuro all’estero. Ti sei mai sentita un cervello in fuga?
In realtà no, perché non sono andata all’estero per mancanza di opportunità in Italia. Se avessi voluto avrei avuto modo di continuare la mia esperienza a Torino o in un’altra città italiana, ma ero intenzionata a spostarmi dall’Italia, perché pensavo che fosse una possibilità divertente per aprire la mente e imparare a fare ricerca in maniera diversa.
So però che c’è questo problema e che molte persone sono costrette ad andare via, anche per via di contratti orrendi, spesso non prorogati o addirittura non retribuiti.
Anche nel caso in cui il dottorato proceda senza intoppi, il salario di circa 1000 € è comunque minimo e non certo incoraggiante. Ad essere sinceri però, la situazione è la stessa più o meno in tutta Europa: i dottorandi sono messi male quasi ovunque.

Quindi è in realtà falso il leitmotiv che vede solo l’Italia dedicare poche risorse alla ricerca e dare dignità insufficiente ai PhD, specie in rapporto ai paesi del Nord Europa, visti in genere come i modelli da seguire in questo?
Alcuni Stati in effetti sono messi un pochino meglio, come appunto quelli del Nord, dove però il costo della vita è più alto.
Ad ogni modo direi che sì, Olanda, Svezia o Norvegia stanno meglio di noi sotto questo punto di vista, mentre il discorso non vale assolutamente per l’Inghilterra, dove lo stipendio di un dottorando è scarso se rapportato con le spese mensili da sostenere.
Per la Germania dipende dalla tipologia contrattuale: con una formula al 100% (nda: in Germania evidentemente esiste la possibilità di pagare solo una percentuale delle ore lavorate; ad es. con un contratto al 50 % su 40 ore settimanali te ne pagano solo 20, come se fosse un part-time) sei ricco, ma normalmente ti pagano al 50 o al 60-70%, con il risultato che alla fine si guadagna come nei paesi dell’Europa mediterranea, con la differenza che uno stipendio di questa entità non basta per vivere nella città tedesche più care.

La tua carriera all’estero ha inizio con la tesi magistrale che hai svolto in Germania, ad Erlangen.
Perché l’estero, perché la Germania e perché non concludere il tuo percorso accademico di studi in Italia? Cosa ti ha ispirato di quella proposta di ricerca?
Io avevo già in mente di iscrivermi ad un PhD all’estero, per cui volevo prima verificare che fosse effettivamente la strada giusta per me. Scelsi la Germania perché avevo un buon livello di tedesco, che pensavo di migliorare trascorrendo lì gli anni del dottorato, ma soprattutto perché è uno degli Stati che investe di più nella ricerca.

Com’è stata la vita in Germania per una giovane ricercatrice?
Come ti sei trovata a lavorare al fianco principalmente di ragazzi/e tedeschi/e?
Io sono stata molto bene. La maggior parte lavora in maniera efficiente, senza però eccedere impegnandosi ad oltranza né con orari assurdi. L’orario lavorativo tipico consiste nelle classiche 8-9 ore giornaliere, che trascorrono in maniera tutto sommato tranquilla, anche se dipende dai vari gruppi di ricerca.
Magari alcuni pensano che i tedeschi siano lavoratori instancabili e ossessionati dal lavoro, ma io, a dire il vero, non li ho trovati stressati né tanto meno reclusi; tanto per fare un esempio, ogni venerdì avevamo l’abitudine di trovarci dopo lavoro per una birra tranquilla tutti insieme, e c’è più vita sociale di quanto si pensi. Forse non sono espansivi e calorosi come italiani o spagnoli, ma si può interagire con loro tranquillamente divertendosi.
L’unico elemento che proprio non sopportavo della Germania era il clima: non è molto diverso da quello del nord Italia, ma non ero comunque abituata a mesi di fila senza il sole, pur essendo nata a Brescia, non certo in Sicilia.
In Italia si tende a prendere come riferimento l’efficienza tedesca nel lavoro. Sono davvero così bravi, diligenti e precisi?
In linea di massima, devo dire di sì. Ma nella mia esperienza di laboratorio ho visto anche giovani italiani e spagnoli comportarsi in maniera eccellente; probabilmente dipende più dal singolo che dalla nazionalità.
Ho comunque notato ad esempio che i teutonici hanno in media una capacità di concentrazione più elevata: è difficile che si distraggano sul luogo di lavoro fra caffè o messaggi, anche se, di nuovo, credo che la differenza la faccia più il carattere della singola persona.
Dalla Germania alla Spagna, si torna nel Mediterraneo e in particolare a Madrid, dove tuttora operi.
Come è stato per te passare dal rigore e austerity tedeschi al popolo che forse più di tutti ricorda noi italiani?
La burocrazia spagnola, da pazzi, è ciò che più mi ha ricordato l’Italia (sorride); hanno anche alcuni problemi, come il finanziamento alla ricerca, in comune con noi.
Ambientarsi, devo dire, non è stato facile, dal momento che non sapevo bene lo spagnolo, e per quanto esso sia simile all’italiano, servono comunque dei mesi per arrivare ad una decente padronanza. In più in Spagna non si parla molto l’inglese, il che ha complicato ulteriormente la mia esperienza. Una volta imparato un po’ di spagnolo, tuttavia, il percorso è in discesa e la gente è molto ospitale; Madrid poi mi è piaciuta molto.

Hai trovato grosse differenze nell’accoglienza nei tuoi riguardi fra questi due Paesi?
No, sono stata ricevuta in maniera simile e non ho percepito razzismo nei miei confronti né in Germania né in Spagna.
Se dovessi invece confrontare il costo della vita fra Italia, Germania e Spagna?
Dipende molto dal fatto che tu viva in una grande città o in un piccolo paese.
Gli affitti a Madrid e in Baviera sono sul livello di quelli di Milano, ma i supermercati tedeschi sono i più economici che io abbia mai trovato. In Spagna dipende molto dalla regione: fuori da Madrid ad esempio la vita è meno cara, seppur alcuni generi al Mercadona siano costosi anche qui.
L’Italia la trovo in confronto decisamente cara.

Rimanete sintonizzati per la seconda parte dell’intervista …