Meno male che è finita: 3 curiosità psicologiche sull’estate

In qualche modo diversa rispetto a tutte le estati della nostra vita, iniziata nel mezzo di una crisi pandemica globale, l’estate 2020 volge quasi al termine. Per alcuni potrebbe essere una fine intrisa di nostalgia, ma per altri potrebbe invece essere un sollievo. Soprattutto perché, se finisce l’estate, vanno via anche alcune “cose tipiche” della stagione: ne ho selezionate tre, di cui raccontare delle curiosità psicologiche, con un po’ di spensieratezza estiva.

1) I TORMENTONI ESTIVI

Tipici dell’estate, non sono propriamente gli oggetti principali della ricerca scientifica, ma ci sono alcune spiegazioni curiose intorno a queste canzoni stagionali. I tormentoni estivi vengono rilasciati dalle industrie musicali con l’obiettivo di caratterizzare un determinato periodo (e quindi mercato) dell’anno. Sono costruiti sulla base di parole chiave e ritmi ripetitivi, di semplice memorizzazione e di facile diffusione sui diversi canali – quindi sulle piattaforme musicali, sui social, al supermercato, come sottofondo pubblicitario… I ritmi dei tormentoni sono facili e quindi diventano velocemente familiari: vanno a formare una sorta di cantilena che si ripete nella nostra mente anche quando non vorremmo. Alcuni studiosi parlano di questo fenomeno psicologico chiamandolo Earworms, ovvero “vermi all’orecchio”, e accade quando uno stimolo uditivo entra tra i nostri pensieri in maniera inconsapevole e/o automatica. 

Cosa succede, ad esempio, leggendo la frase: “Voglia di ballare, un reggae…”?
Ecco, appunto.

E quindi, meno male che è finita: i tormentoni estivi caratterizzano un periodo preciso e subiscono una fortissima influenza ambientale, da parte del contesto generale che viviamo in quella determinata stagione. Con la fine dell’estate sicuramente avremo molte meno occasioni di stare in spiaggia (e di farci venire voglia di ballare un reggae).
É molto improbabile che durante lo shopping natalizio ci venga in mente un tormentone estivo, a meno che non siamo degli appassionati cultori della materia o dei lavoratori dell’industria discografica che preparano i successi della prossima estate.

1) I SELFIE

Ammettiamolo: un paio di selfie estivi ce li siamo fatti, anche chi tra noi non li fa spesso. C’è stato probabilmente un momento, un luogo, un monumento, uno scorcio di paesaggio che ci ha fatto dire “Mo’ mi faccio un selfie e lo pubblico”.
Il fenomeno dei selfie è stato studiato negli ultimi anni per analizzare l’impatto sui social, le influenze sul rapporto con l’immagine di sé, e capire i significati che veicola agli altri un nostro autoscatto in primo piano. In sintesi, dalle ricerche sui selfie è emerso che: 1) li scattiamo e pubblichiamo per mostrare agli altri cosa facciamo, dove siamo stati, le esperienze che stiamo vivendo nel mondo; 2) con i selfie inconsapevolmente facciamo una self-disclosure, mostriamo qualcosa di personale e comunichiamo stati d’animo, novità della nostra vita, un momento felice, l’emozione della giornata; 3) partecipiamo a dei riti collettivi (insomma, alle mode del momento) e quindi mostriamo di essere in qualche modo conformi alle regole culturali della società in cui viviamo; 4) scattare e condividere dei selfie può influire sull’umore, migliorandolo: per alcuni è infatti un’attività divertente ed è stimolante per la creatività; 5) può sostenere l’autostima e la self-confidence: ci mostriamo agli altri virtualmente (e lo facciamo in un contesto di sicurezza percepita: nel virtuale spesso ci esprimiamo più apertamente rispetto al reale); 6) è sicuro, i selfie servono per avere un po’ di attenzione dagli altri e questo, a quanto dicono gli studi, vale soprattutto per Millennials e Generazione Z. Ma d’altronde anche nelle interazioni di persona chiediamo dei feedback agli altri, chiediamo se stiamo bene con un abito o se oggi abbiamo una faccia più carina del solito, o raccontiamo dove siamo stati. Semplicemente non ci mettiamo in posa.

La cosa più curiosa che risulta dagli studi sui selfie però, è un’altra: ci piace di più scattare e pubblicare i nostri selfie, rispetto a vedere e commentare nei feed social quelli degli altri. Secondo uno studio tendiamo a valutare i selfie degli altri come poco autentici ed egocentrici, mentre valutiamo i nostri scatti come simpatici e per niente narcisisti. Coerentissimi.

Meno male che è finita, insomma: vedremo meno selfie altrui al mare o in viaggio, visto che con la fine dell’estate si viaggerà di meno e avremo meno attimi da cogliere in posti diversi dalla quotidianità. Ma è molto probabile che anche nelle prossime stagioni ci scatteremo qualche selfie qua e là: un po’ perché è divertente e un po’ perché così potremo continuare a raccontarci di non essere dei narcisi se ci facciamo un set fotografico dopo il parrucchiere. E poi è un facile esercizio di autostima, no?

1) IL CALDO

Quando si parla di Svezia, uno degli argomenti più solidi e incontrovertibili sembra essere quello legato agli alti tassi di suicidi dello stato scandinavo, a causa degli inverni molto bui e del freddo. In realtà la situazione svedese è un tantino più complessa, ma la domanda che può sorgere da questo tema è: il clima influenza il benessere psicologico?
La psichiatria ha delineato un disturbo dell’umore che viene determinato anche dai cambi stagionali. Si chiama Seasonal Affective Disorder. E non è l’inverno l’unica stagione che intensifica questo disturbo.
Al di là delle situazioni di sofferenza mentale diagnosticate dai professionisti, alcune ricerche hanno dimostrato che il clima estivo può influenzare psicologicamente il nostro umore e i nostri comportamenti: il caldo forte porta a un aumento di comportamenti violenti e aggressivi; aumenta l’irritabilità; vi è un più alto abuso di droghe e di alcool; diminuisce le capacità cognitive e la concentrazione, diminuisce forze ed energie, anche mentali. E diminuisce i comportamenti pro-sociali e altruisti, perché interferisce con le nostre capacità di accogliere le richieste degli altri (trovate lo studio nel link della lettura consigliata, in basso).
Tutto dipende, chiaramente dalla nostra personalità e da come ci approcciamo alle stagioni

In uno studio su degli studenti tedeschi si è definita una differenza tra diverse “Weather Personality Type”: ci sono i Summer Lovers, i Summer Haters, i Rain Haters e gli Unaffected (cioè coloro a cui non fa differenza il clima). Insomma, quella sulla connessione tra meteo e benessere è un’analisi complessa, che deve tenere conto di molti fattori – ma anche se non siamo ricercatori è bene essere sempre consapevoli di quale sia la stagione e il clima che ci fa sentire meglio, per organizzarci e prenderci cura del nostro equilibrio psico-fisico.

Quindi, meno male che è finita: ora che il caldo diminuisce non abbiamo più scuse per rispondere male ai nostri colleghi o per stare tutti i pomeriggi nell’ozio sonnolento.

A prescindere da quanto ci piaccia l’estate, è importante vivere ogni stagione nella ricchezza di quello che ci può dare, rispettando sempre i nostri bisogni e le nostre esigenze, i nostri gusti musicali, il livello dell’energia che percepiamo e la nostra voglia di stare con gli altri. 

Prendersi cura di sé è un atto di rispetto fondamentale tutto l’anno.

Questo articolo ha natura esclusivamente informativa. Se vivi una situazione di disagio o di malessere (a prescindere dall’influenza della stagione) rivolgiti sempre a un professionista della salute mentale. 

ALESSIA GRAMAI

Writer
Psicologa, (quasi) sessuologa, sarda, femminista.
Polemica, a volte; troppo concentrata su cosa succede nel mondo, spesso; piena di dubbi, sempre.