
“Prison break” e “Miracle in cell no.7”.
La prima è una nota serie tv statunitense, il secondo è un film turco del 2019.
Personalmente consiglio la visione di entrambe, sebbene siano di generi diversi: la serie è un thriller d’azione, il film è drammatico. Non vi è alcuna associazione tra i due, se non il fatto che io abbia visto la prima stagione della serie e il film nello stesso periodo, senza sapere che la tematica che fa da sfondo ai due è la stessa: la pena di morte.
La loro visione mi ha così portato a riflettere sul significato morale di questo tipo di condanna e sulla sua visione da parte della società di oggi.
Un piccolo excursus storico: la condanna a morte esiste da sempre. E’ solo alla fine del XVIII secolo che, con la diffusione del pensiero illuminista, inizia ad essere messa in discussione la validità di questo tipo di pena. Uno dei maggiori critici di questa condanna fu un noto filosofo illuminista italiano, Cesare Beccaria, che con il suo scritto “Dei delitti e delle pene” dà il via ad una vera e propria rivoluzione dei sistemi giuridici adottati poi dalle moderne democrazie. Egli sosteneva che la pena di morte, come castigo, non avesse alcuna utilità per la società: per il condannato non si trattava di un deterrente per non commettere determinati reati, per tutti gli altri invece si trattava di un errore perché non avrebbe permesso la “redenzione” del colpevole e un suo successivo reinserimento nella società. Per quanto riguarda l’Italia, la condanna a morte verrà abolita nel 1948, rimanendo in vigore per i casi previsti dalle leggi militari di guerra e solo nel 1994 verrà totalmente cancellata da qualsiasi codice.


L’assemblea generale dell’ONU, nel 2007, approva la richiesta di una moratoria universale della pena di morte.
Leggendo queste date, non possiamo evitare di notare quanto siano attuali. La verità è che la condanna a morte è un tema ancora molto dibattuto e su cui vi è una netta divisione tra favorevoli e contrari. Le motivazioni a favore sono soprattutto: l’ottenimento di una pena commisurata al reato, la risoluzione del sovraffollamento nelle carceri con la conseguente riduzione dei costi di mantenimento di carcerati altrimenti condannati all’ergastolo e l’eliminazione di un colpevole che rischierebbe di danneggiare ulteriormente la società. Al contrario, altri pensano che invece si tratti di una pena che viola il diritto alla vita riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, che lo Stato mettendo a punto questa condanna si macchi esso stesso di omicidio, che neghi una possibile riabilitazione del colpevole nella società e, in caso di errore giudiziario, si rischi di uccidere un innocente.
La situazione attuale è ovviamente il frutto di decisioni prese oggi e in passato, ma cosa succederà in futuro? Il processo di abolizione della pena di morte riuscirà a coinvolgere man mano tutto il mondo, persisterà in molti stati o vi sarà un ritorno della stessa anche in quelle nazioni che l’hanno abolita?
La risposta risiede nel pensiero di coloro che formeranno la società del futuro: i giovani. Nel 2017 è stata condotta una ricerca da parte dell’Osservatorio “Generazione Proteo” per capire, tramite un’intervista a 20 mila giovani tra i 17 e i 19 anni, cosa pensassero riguardo varie situazioni della società di oggi: disoccupazione, immigrazione, tradizioni e anche sulla pena di morte. Il risultato ha dimostrato che un giovane su tre fosse favorevole. E’ un dato che dice molto di attualità: viviamo in un mondo dove “fanno da padrone” l’incertezza e la paura e per combatterle si incita all’odio, a interventi forti e alla violenza.
Nulla di nuovo quindi. Riflettendo però ho capito che la pena di morte dev’essere l’ennesimo campanello di allarme di una società che ha perso le speranze. Un mondo che permette di rispondere alla violenza e agli orrori che vengono commessi con altrettanta violenza è davvero giusto? Si vuole trasmettere altrettanto terrore là dove invece ci può essere una speranza di riscatto e ricostruzione?
Ai giovani l’ardua sentenza, sì, ma solo dopo un attento percorso educativo che li porti a riconoscere che, dai casi più lievi a quelli più gravi, vi è un lungo percorso di riconoscimento dei propri errori e che le persone a volte hanno bisogno di un aiuto e di una guida e anche di una seconda possibilità. A riconoscere che dando una seconda possibilità non si avrà in ogni occasione sicuramente successo, ma che una condanna costruttiva sarà sempre meglio di una condanna distruttiva che miri solo all’eliminazione del problema e non ad una sua soluzione. A riconoscere che non è uno spreco in termini di spazio, di costi e di tempo e nemmeno un torto alla società il cercare di rieducare i colpevoli di gravi reati, ma si tratta invece di un investimento per un mondo più civile.
A riconoscere che “ogni persona vale più della sua peggior azione”.
FILM CONSIGLIATO SUL TEMA
Dead Man Walking- Condannato a morte, 1995.
Via MyMovies.it