Say my name

In questi ultimi mesi abbiamo compreso che la polizia americana, a volte, troppe volte, uccide.
Lo dicono i giornali, gli ormai numerosi video amatoriali e anche le statistiche.
Nel 2019 ci sono stati solo 27 giorni senza delitti da parte delle forze armate.
27 su 365.
E come abbiamo ormai ben compreso, la razza conta.
Persone di colore o ispaniche hanno una probabilità tre volte superiore di morire per mano di un poliziotto rispetto ai bianchi.

Ma pare contare anche la geografia.
Come si può notare nella cartina di seguito, la percentuale di disparità tra la popolazione afroamericana e le vittime di colore della polizia varia da Stato a Stato, aumentando nelle zone più orientali della nazione.

Un dato è omogeneo ovunque.
Ben il 99% dei poliziotti implicati in casi di morti “sospette” non ha subito alcuna condanna

E queste morti non hanno solo distrutto anni passati, ma anche sottratto anni futuri.
Il sito The Atlantic in un articolo del 2016 (ben prima, quindi, delle proteste più recenti, e questo ci fa capire da quanto il problema sussista) riporta una cifra: 57.375.
Questi gli anni rubati dalla polizia in un solo anno (2015-2016).
E sono così tanti perché le vittime avevano in media 35 anni.

Molti giovani, quindi, dei quali rischiamo di non sapere nulla.
Giovani che rischiano di diventare solo un numero nei numeri.
Ragazzi e ragazze che avevano un nome.

AHMAUD ARBERY aveva solo 25 anni quando è stato lasciato morire da solo, per strada, una Domenica dello scorso Febbraio.
Un ex ufficiale di polizia di Brunswick, Georgia, e suo figlio, hanno pensato di avere il diritto di rincorrere AHMAUD e di sparargli con un fucile, semplicemente perché pareva loro il colpevole di presunti furti nel vicinato.
Numerose petizioni sono nate per richiedere di avere subito quella giustizia che tarda spesso ad arrivare, se arriva.
E molti runners hanno iniziato ad usare l’hashtag #IrunwithMaud per sensibilizzare e continuare a tenere alta l’attenzione sulla vicenda.

BREONNA TAYLOR, sperava di continuare a lavorare come operatrice di pronto soccorso per potersi pagare gli studi da infermiera ed una bella casa a Louisville, Kentucky.
8 pallottole hanno messo fine ai suoi sogni, uccidendola nel sonno nel letto del suo appartamento.
Due poliziotti in borghese, al buio e con un mandato no-knock, indagando su un presunto traffico didroga condotto al domicilio di BREONNA dal suo ex fidanzato, hanno risposto a spari di autodifesa del nuovo compagno della ragazza con 20 colpi. 20. 
Il sospettato principale era già stato arrestato al momento dell’irruzione, gli agenti coinvolti non indossavano telecamere obbligatorie ed il mandato era illegale, come affermato dal giornalista esperto di diritti civili sul The Washington Post, Radley Balko.

Uno dei tanti tweet per chiedere giustizia

MICHAEL NOEL, 32 anni, Louisiana, soffriva di disturbo bipolare e schizofrenico.
Era un ragazzo da proteggere.
Nel 2015 MICHAEL è nuovamente sull’orlo di un breakdown psicologico e la mamma, che sa riconoscerne i segni, chiede l’intervento della polizia per un ordine restrittivo.
Gli agenti provano a sedare la resistenza del ragazzo con scariche di taser, ma poiché tutto sembra inutile, si passa alle armi.
MICHAEL viene colpito al petto e muore davanti alla porta di casa, davanti a sua madre.I poliziotti sono addestrati per interventi delicati come questo, ricevono una preparazione.
Eppure quel giorno, i due agenti hanno sbagliato tutto, senza nemmeno provare a rimediare con manovre di rianimazione.
Ad oggi, nessuno è stato condannato per la morte di MICHAEL.

La mamma di Michael con una fotografia di famiglia

WILLIAM CHAPMAN ne ha persa tanta di vita.
Aveva, infatti, appena 18 anni quando è stato ucciso nel parcheggio di un grande magazzino Walmart in Porthsmouth per un presunto furto.
Dopo una colluttazione assai confusa, l’agente intervenuto su chiamata di un negoziante, senza alcuna certezza che il ladro fosse effettivamente WILLIAM, l’ha colpito.
L’ha colpito al petto e in faccia. L’ha colpito senza lasciargli possibilità di salvarsi.
L’ha colpito perché si sentiva minacciato; minacciato da un ragazzo completamente disarmato.
Il poliziotto coinvolto è stato condannato a soli 2.5 anni di detenzione. Questo valeva, secondo la giustizia, la vita di WILLIAM.

William Chapman e il poliziotto condannato per la sua uccisione

Anche le carceri non fanno sconti su eventi del genere.
SAMUEL HARRELL, nel 2015, sta scontando una sentenza di 8 anni per spaccio di droga nella prigione di Fishkin.
Chiede supporto, ottenendo in cambio un mucchio di botte.
Davanti ad una situazione nella quale sarebbe bastato fornire aiuto psicologico, la risposta è quella di animali.
SAMUEL viene ammazzato a mani nude dalla Beat Up Squad, tristemente nota all’interno della struttura, senza alcuna richiesta di intervento tempestivo da parte di un medico.
Nessuno ha salvato SAMUEL e nessuno sta pagando per quanto è successo

Proteste per la morte di Samuel Harrell

Nelle storie di tutti questi nomi, risalenti ad anni recentissimi (2015 e 2020) vi sono troppe situazioni presunte e poche certezze.
E presunzioni e poche certezze sono riscontrabili anche nel famoso caso dei “Central Park 5”, datato 1989.
La storia si ripete.

Di questo caso, forse uno dei più famosi in America dal punto di vista mediatico, abbiamo una ricostruzione maestrale nella miniserie Netflix “When They See Us”, per mano della regista Ava Duvernay.
4 puntate da divorare con gli occhi.

Nella prima puntata, le vite di 5 ragazzi tra i 15 e i 16 anni vengono cambiate per sempre in una sola notte.
Il 19 Aprile 1989 Central Park fa da sfondo ad una serie di aggressioni, tra le quali la più brutale è lo stupro della jogger Patricia Meili.
Raymond Santana, Yusuf Salaam, Antron Mcray, Kevin Richardson e Corey Wise finiscono in manette.
Iniziano interrogatori violenti, senza avvocati e senza genitori.
Genitori che sono assenti per paura di perdere lavori trovati a fatica.
Genitori che tentano di fare la cosa giusta e che, a volte, sbagliano.

Sei mesi dopo è tempo di processi, ma i ragazzi, in realtà, sono già stati condannati.
Finiscono tutti in riformatorio. Tutti tranne Korey, processato come un adulto e rinchiuso in una prigione da adulti.
Fa capolino anche Trump che, allora come ora, propone soluzioni da brividi, suggerendo di reintrodurre la pena di morte.

Yusuf, Raymond, Kevin e Antron, finito il periodo di detenzione, riescono a ricostruirsi una vita, chi più facilmente e chi meno.
Ma alcuni rapporti una volta persi non si possono recuperare.
E certi passati non si dimenticano.
“Sento che tutti mi odiano”
“Ma io ti amo abbastanza per compensare tutti gli altri. Tutto il giorno non faccio che amarti”

L’ultima puntata è la più dura.
Assistiamo alla morte di Korey in prigione; una morte non fisica, ma spirituale.
Un percorso fatto di più penitenziari sempre più lontani da casa, botte, nessun aiuto e tanta solitudine.
Al 55simo minuto un abbraccio che non posso descrivere.

Nel 2002 finalmente la confessione dell’unico e solo colpevole, Matias Reyes.
Una confessione che avrebbe potuto anche non arrivare mai.
Una verità a cui stavolta si è deciso di dare ascolto.

When They See Us è una serie fatta di primi piani, di colori scuri, di parole ponderate, di poca luce.
When They See Us è una serie da vedere.
Vi prego, guardatela.

SUGGERITO PER LA LETTURA da Federica