
Il mondo dei social è risultato essere un aiuto fondamentale in periodo di quarantena.
Non possiamo assolutamente non spezzare una lancia a favore delle potenzialità che ha presentato la tecnologia in uno dei momenti più complicati di questo decennio: dove la morale del buon cittadino ci imponeva la distanza, essa ha saputo riconnetterci seppur virtualmente, reinventando temporaneamente le nostre abitudini ma soprattutto le relazioni.
E qui iniziano le noti dolenti.
Si, perchè se nel pensiero collettivo strumenti come zoom e skype sono stati gli unici intermediari per rivedere il volto di un caro amico o del proprio nipotino, forse verrà meno spontaneo considerarli come dei “cupido” giunti in soccorso dei giovani amanti.
La nuova generazione non è rimasta, infatti, illesa da questa maledetta pandemia, e in particolare, le coppie che non hanno affrontato insieme questa quarantena si sono ritrovate catapultate in una situazione quasi inconcepibile ai giorni nostri: la LONTANANZA.
E se le lettere e i francobolli non sono più di moda (direi, purtroppo, troppo sottovalutate) ecco che nel 21esimo secolo vengono sostituiti da parole del nostro vocabolario quotidiano: WHATSAPP, TELEGRAM, INSTAGRAM e chi più ne ha più ne metta, che danno origine all’Amore ai tempi del Covid19.
Mantenere viva una relazione a distanza può essere un banco di prova e sicuramente la privazione del contatto, elemento vitale per una coppia, non ha assolutamente aiutato, tanto da far riemergere un problema rimasto silente per molto tempo, dandogli, forse non nel migliore dei modi, la giusta attenzione mediatica: il revenge porn.

Il fenomeno, ovvero la pubblicazione online di contenuti sessualmente espliciti senza il consenso di uno dei partner, in fase di lockdown non ha fatto che proliferare.
Un aumento scaturito soprattutto da una necessità di ovviare al confinamento imposto dalla pandemia, nel quale le coppie più giovani ed ingenue hanno usufruito sempre di più di videochiamate e sexting (ovvero lo scambio di messaggi intimi attraverso cellulare o computer).
Foto e video privati, inviati con il proprio consenso esclusivamente ai partner, riponendo in loro la propria fiducia affinché rimangano nella sfera privata, diventano troppo spesso “merce di scambio” online, e la motivazione non ricade solo in una forma di vendetta (“revenge”).
Un recente studio, divulgato da PermessoNegato.it, no-profit che offre il suo aiuto e supporto tecnologico alle vittime di violenza online, ha dichiarato la presenza di ben 29 gruppi di revenge porn presenti su una delle piattaforme più utilizzate negli ultimi tempi, Telegram.
Questo canale, a quanto pare, è il più gettonato per perpetrare reati di questo tipo in quanto, a differenza di altri social networks, presenta dei termini di servizio praticamente inesistenti: a quanto pare l’app punisce la presenza di post pornografici illegali e quelli che incentivano alla violenza, ma solo se VISIBILI PUBBLICAMENTE. L’ ostacolo è facilmente raggirabile purtroppo, grazie alla possibilità di creare gruppi chiusi (che necessitano di un invito) dove tali contenuti sono condivisibili senza ripercussioni.
E voilà, il gioco è fatto, niente di più semplice.
E il problema è diventato talmente serio, su tale piattaforma, tanto che la stessa Polizia Postale ha messo in atto un’operazione, a livello nazionale, chiamata Drop the revenge!, nel mese di aprile, arrivando ad identificare e successivamente smantellare la presenza di ben 3 di questi canali (voglio riportare i loro nomi per far comprendere la gravità degli stessi: “La Bibbia 5.0”, “Il Vangelo del Pelo” e “Stupro tua sorella 2.0”), nei quali si giungeva addirittura ad istigare alla pedopornografia e al femminicidio.
Ancora più grave è il fatto che il creatore di uno di questi gruppi ha solamente 17 anni e a spingerlo a pubblicare centinaia di immagini di ragazze, raccolte nei modi più disparati, è stato il vile guadagno. Il ragazzo infatti rivendeva i contenuti, arrivando addirittura a guadagnare migliaia di euro.
Un’inchiesta di Wired ha dimostrato, non solo con i numeri, la gravità del fenomeno (oltre 43 mila iscritti in soli due mesi e conversazioni che si aggirano sui 30 mila messaggi al giorno): all’interno di questi canali ci sono padri di famiglia che sottopongono a mercificazione le proprie figlie, ci sono ex che colpiscono per ripicca coloro che un tempo erano i propri partner e ragazzini/e che attribuiscono alle proprie amiche il valore di 50 centesimi, il costo di una loro foto.
Inutile dire che le conseguenze, per le vittime, sono devastanti, soprattutto dal punto di vista psicologico.
A provarlo sono i dati riportati da una ricerca dell Cyber Civil Right Initiative, su un campione di 1600 persone, senza differenza di genere:
- il 90% delle vittime è donna,
- 68% sono tra i 18-30 anni, il 27% tra i 18-22
- 51% ha pensato o pensa al suicidio (caso tristemente noto, quello di Tiziana Cantone)
- il 50% delle foto riporta nome, cognome, profilo social (in alcuni casi anche numero di telefono ed indirizzo)
E non solo… il 93% delle vittime ha dichiarato di aver vissuto un forte stress a livello emotivo e psicologico, l’83% ha riportato danni in termini sociali e occupazionali e, in molti casi, ha influito sui legami familiari, amicali e soprattutto sentimentali, passati e futuri.
Vite maltrattate, violate, alla mercè di chiunque, dove la vergogna e umiliazione regnano sovrane, tanto da condurre all’isolamento e alla depressione.
E soprattutto dove l’ingenuità viene colpevolizzata anche da chi dovrebbe far sentire le vittime come tali: “te la sei cercata” è solo una delle frasi che più di una volta si è sentita rivolgere anche Ilaria di Roberto, 29enne vittima di Revenge Porn: “Tutti ti voltano le spalle, anche chi ti dovrebbe proteggere”
Di strada l’Italia ne ha dovuta fare per arrivare a definire tale fenomeno come reato punibile non solo dalla morale ma anche dalla legge, eguagliando altri paesi, come Stati Uniti, Germania e Francia che hanno legiferato sul tema ormai da tempo.
Solo nel luglio del 2019, è stata approvata la legge “Codice Rosso”, prevedendo la reclusione in carcere da uno a 6 anni e multe che raggiungono i 15 mila euro per chiunque diffonda foto e video intimi senza consenso con aumenti di pena se sono commessi contro i propri partner, persone in condizione di inferiorità fisica o psichica e minorenni, ancora poco tutelati sull’argomento.
Ma muoversi legalmente credo sia solo parte della soluzione: per affrontare il problema potrebbe essere necessario agire preventivamente.
Non siamo qui in veste di giudici, pronti a condannare o assolvere tale comportamento, ma è sempre più pensiero comune l’importanza di valorizzare l’educazione sessuale nelle scuole e nelle famiglie, eliminando possibili taboo legati alla parola “sesso” e la sua associazione all’indecenza, ma soprattutto l’educazione digitale, essendo sempre più presente nelle vite delle generazioni future, per far comprendere ai giovani d’oggi i rischi che si possono incontrare interagendo con Internet e i social e come tutelarsi di conseguenza.
Il cammino è ancora lungo, ma il semplice fatto che il tema sia discusso su più larga scala fa ben sperare.