
I fatti sono semplici da riassumere: un ingegnere ormai in pensione di 74 anni paga un uomo al fine di rompere le mani ad una terza persona: questi non è altro che il figlio del settantenne, uno stimato chirurgo sulla quarantina, la cui unica colpa è di essere omosessuale.
Non siamo nell’entroterra siciliano degli anni ‘50, ma nella provincia torinese di oggi. Non che una diversa collocazione spaziale e temporale avrebbe mai potuto essere un’attenuante per un gesto così becero, ignorante e criminale. Ignorante sì, ma non nella sua vox media di “colui che non conosce” ma in quella spregiativa di incompetente (per fare il padre), e rozzo. Ulteriore segno, se mai ci fosse ancora bisogno di ribadirlo, che non basta essere uno stimato professionista laureato per essere intelligente e colto. O semplicemente una persona per bene.
Ripartiamo dagli antefatti. Intorno al 2016 il figlio aveva confessato alla propria famiglia il suo orientamento sessuale, senza provocare tuttavia il vespaio forse temuto: oltre alla madre, anche il patriarca aveva recepito tutto sommato bene la notizia, pare rimpiangendo debolmente soltanto di non poter avere dei nipotini.
La situazione muta però terribilmente l’anno seguente, quando il medico viene paparazzato in Costa Azzurra in atteggiamenti affettuosi con un noto attore, non meglio precisato. Lo “scoop” finisce in qualche rivista scandalistica di dubbio gusto e arriva anche agli occhi dell’ingegnere. Allora qualcosa si muove nel suo cuore (o nello stomaco) e un misto di furore e vergogna probabilmente ne ottenebra il senno, inducendolo a fare ciò che un padre non dovrebbe mai – mai- mettere in atto: perseguitare il figlio.
Ritorniamo alla (pianificata) aggressione. L’energumeno, assoldato per portare a termine il violento gesto, si mette sulle tracce della vittima, seguendolo e spiando lui e il suo compagno. Quando però arriva il momento del dunque, succede un imprevisto, che forse non era stato considerato né dall’aggressore né dal mandante: il rompi-mani non se la sente più di compiere ciò per il quale era stato pagato. In fondo, il chirurgo è un brav’uomo ed un ottimo medico. Perché rovinargli la vita? Con le dita spezzate difficilmente potrà più svolgere il suo lavoro e potrebbe persino arrivare a vergognarsi di se stesso. Forse era questo il vero intento del padre: far sì che i sentimenti da lui provati, nel vedere quella “turpe” fotografia, si tramutassero nel senso di impotenza del figlio, incapacitato nello svolgere la sua professione. Un perverso contrappasso volto a vendicare l’orgoglio ferito.
Il (quasi) picchiatore non solo si tira indietro, ma confessa anche all’inconsapevole vittima quale sarebbe stato il suo compito. Il medico però decide di non denunciare il genitore, con un gesto di magnanimità che forse a posteriori (ma chi se la sente di giudicare una vicenda tanto delicata?) potremmo ritenere un errore.
Le manie persecutorie del padre non si arrestano, in un vortice di minacce e pedinamenti che coinvolge, oltre al quarantenne, il suo compagno e anche la madre la quale, esasperata dalle recenti intimidazioni e dalle botte, chiede il divorzio dopo più di quarant’anni di matrimonio. L’ondata di violenza, verbale e fisica, che si abbatte sulle persone vicine al figlio, è troppa da sopportare e nel maggio 2018 arriva la denuncia.
L’iter giudiziario, partito con un’inchiesta, si conclude con la condanna patteggiata a due anni di reclusione. Terminato il processo, la vicenda è divenuta di dominio pubblico in questi giorni, ad anni di distanza; il colpevole nel frattempo pare che stia continuando a difendersi, negando di aver mai incaricato chicchessia di aggredire il figlio.
Molti si sono già espressi sull’accaduto e sono volati diversi biasimi bipartisan, da Laura Boldrini a Giorgia Meloni. Non basta però. Sono anni che si continua a criticare queste situazioni, senza mettere in atto iniziative concrete per mettere la parola fine alla deriva di odio. Bisogna tornare ad investire nell’educazione, non affidandola tuttavia solamente alle famiglie, ma ponendola al centro del percorso scolastico, specialmente negli anni della scuola dell’infanzia e primaria. Insegnare al rispetto per ciò che ci circonda, partendo dal precetto di non deturpare i beni pubblici (e anche quelli degli altri privati), per arrivare agli animali e, soprattutto, alle persone. Istruire le generazioni del domani alla gentilezza e all’onestà, tendendo verso un popolo meno bigotto e ipocrita nelle parole, ma più virtuoso nel quotidiano.

EDOARDO ANDREA CANCEDDA
Writerassolutamente non richieste su tematiche più grandi di lui, sentenziando in moda barocco su politica e società.
Alla perenne ricerca di una propria identità partitica, è fermamente convinto che la vita non sia altro
che una partita a scacchi contro il tempo.