SPECIALE GRANDI REGISTI: WES ANDERSON
IL TRENO PER IL DARJEELING
Il ritmo incalzante di un sitar, una stazione indiana affollata e un uomo d’affari (niente meno che Bill Murrey) ripreso con le valigie in mano in una corsa forsennata verso il treno. Pochi secondi e gli si affianca quello che scopriremo essere Peter Whitman (Adrien Brody). This time tomorrow dei Kinks attacca subito dopo, accompagna la sua corsa e l’agile balzo, tutto in slow motion, sul balconcino dell’ultimo vagone del treno. Completo grigio informale, occhiali marroni anni ’70, un lieve sorriso mentre guarda l’uomo rimasto a terra, Peter si volta e fa il suo ingresso a bordo. È l’inizio strepitoso de Il treno per il Darjeeling, film di Wes Anderson del 2007.
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Tre fratelli, Francis (Owen Wilson), Peter e Jack (Jason Schwartzman) si ritrovano in India per compiere un viaggio lungo il percorso del Darjeeling Limited. Sono insofferenti e a disagio gli uni verso gli altri, ma Francis, maniacale organizzatore del viaggio, vuole cementare nuovamente il loro legame familiare dopo la morte del padre, avvenuta un anno prima, e la partenza della madre (Angelica Huston). Come sempre nell’unico e inconfondibile stile di Wes Anderson, i sentimenti delicati e le vicende talvolta drammatiche si svolgono sotto un velo di ironia e di sottile stravaganza. A colpire ancora una volta sono i colori pastello, i costumi e le scenografie dal sapore vintage, le panoramiche “a schiaffo” e le sequenze in slow motion, la colonna sonora tra sottofondi indiani e canzoni anni ‘60/’70. Nulla è lasciato al caso. Le scene sono spesso costruite secondo il sistema di simmetrie che tanto piace ad Anderson (Moonrise Kingdom, I Tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou ne sono altri esempio memorabili). Il pendant dei colori attraversa le sfumature del caramello, dell’ocra, dell’azzurro e del rosso e si mescola ai profumi e ai sapori indiani. Lo stile di questo cineasta, però, non è da leggere, è da vedere.
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Francis vuole a tutti i costi che il viaggio sia un’esperienza spirituale, che i fratelli si aprano a tutto ciò che può succedere, bello o brutto non fa differenza. Ma finchè i tre seguono il suo rigido programma l’armonia è difficile da trovare. Fortunatamente una serie di avvenimenti inaspettati li porta in balia del caso e a vivere momenti genuini che, davvero, si riveleranno essere di crescita e liberazione. Sequenze iconiche degne delle copertine dei dischi dei Beatles accompagnano il loro vagare in zone deserte e la permanenza in un villaggio indiano segnato dalla tragica morte di un bambino. Un intero set di valigie retrò color caramello, appartenute al padre dei tre fratelli, costituisce il loro bagaglio, metafora deliziosa e raffinata di un passato pesante, che ingombra e rallenta il loro percorso di vita. Peter sta per avere un figlio e non sa se lo vuole, Jack non riesce a lasciare andare la sua ex fidanzata e Francis è un maniaco del controllo quasi patologico. I fratelli Whitman credono di sapere dove stanno andando, ma in realtà non lo sanno. Le difficoltà e le incertezze della loro vita affondano le radici nei rapporti irrisolti con i genitori. Questo viaggio li porterà a perdere la strada per ritrovarla, ad elaborare, accettare e lasciar andare il passato per riuscire finalmente a risalire sul treno, andare avanti e vivere, questa volta da fratelli. La scena finale è la ripresa di quella di iniziale, ma con alcune, fondamentali, differenze. Un epilogo epico per una commedia capolavoro, profonda e leggera, raffinata e autenticamente andersoniana.

ELGA ACERNO
WriterLavora come bibliotecaria presso la Biblioteca Civica del proprio paese
e collabora con l'Amministrazione per iniziative culturali e sociali,
legate soprattutto al museo etnografico
che gestisce insieme ad altri colleghi.