Intervista a Veronica: medico in prima linea per l’emergenza Covid

Veronica, medico in un ospedale piemontese, vivi in prima persona l'emergenza Covid19. Qual è il tuo punto di vista rispetto alla situazione sanitaria attuale e quali scenari presumi si possano verificare da qui ad un anno?

Al momento la situazione mi sembra decisamente drammatica. Gli ospedali sono al collasso e sicuramente per questo motivo non in grado di garantire le cure necessarie per tutti. Il mio timore, viste anche le conseguenze a lungo termine della prima ondata, è che questa situazione si protrarrà ancora per parecchi mesi.

Non mi sento, però, di fare dei pronostici, vista l’incertezza del momento. Vi sono troppi elementi che, a mio parere, rendono difficile immaginarsi come sarà il prossimo futuro: le difficoltà del sistema sanitario, sia in termini di risorse economiche, sia umane, la scarsa conoscenza di questo virus per quanto riguarda modalità di diffusione, memoria immunitaria, effetti a lungo termine dell’infezione e, infine, le possibilità del vaccino di arginare in maniera efficace questa pandemia.

Pensi che le molteplici visioni da parte di virologi, epidemiologi, medici in generale debbano essere filtrate da un comitato scientifico prima di essere poste all'attenzione dei “non addetti ai lavori” a scanso di equivoci ed incomprensioni? Mi spiego meglio: mai come ora la scienza medica sembra si stia basando su opinioni piuttosto che sui fatti, non credi che prese di posizione da parte degli scienziati debbano basarsi solo su fatti concreti ed evidenze scientifiche piuttosto che su ipotesi?

In generale si, credo che le opinioni dovrebbero basarsi su fatti solidi e concreti. Purtroppo, non sempre ci sono evidenze scientifiche così chiare e ben definite a cui si possa fare riferimento.

Fino a un anno fa nessuno sapeva cosa fosse il virus SARS-COV-2: abbiamo avuto modo di conoscerlo in maniera drammatica e repentina, e di conseguenza non ci sono stati né il tempo, né la possibilità di analizzarlo con metodo. Questo ha portato, inizialmente, alla necessità di “improvvisare”, tentando diverse strade terapeutiche, di fatto contro l’ignoto.

Tutto il mondo si è, di conseguenza, mobilizzato, per cui dai centri ospedalieri di tutti gli Stati sono stati pubblicati simultaneamente studi scientifici più o meno validi; nella norma il processo delle pubblicazioni scientifiche è molto più lungo e articolato, ma in questa situazione bisognava correre.

Credo che sia principalmente per questo che si sentono tante opinioni diverse: il virus è “nuovo”, ancora in studio, per cui è difficile avere informazioni consolidate.

Inoltre, al giorno d’oggi, c’è tanta voglia di dire la propria e molto poca di ascoltare gli altri: la mia sensazione è che non ci sia un confronto costruttivo nell’ambito scientifico, così come in tanti altri campi.

Ritengo, comunque, che sarebbe meglio se ci fosse una sorta di filtro o, meglio, che esperti in materia si riunissero per sviluppare un messaggio chiaro. È ovvio che il costante afflusso di informazioni contrastanti renda difficile capire a chi credere.

Oggi, peraltro, per essere considerati affidabili, basta avere una sufficiente padronanza della materia, condita con qualche citazione di studi pubblicati su riviste scientifiche.

Ma il meccanismo è molto più complesso e soprattutto non tutti gli studi che ottengono una pubblicazione sono validi: bisogna saperli leggere, capire la statistica, le fonti, la tipologia di rivista e quant’altro.

Di recente hai pubblicato un post su Facebook riguardante la tua esperienza come dottoressa e come malata di Covid19 oltre che aver vissuto l'angosciante ruolo come parente di un malato. Le reazioni sono state molteplici, da chi ti ha sostenuta a chi si è scagliato contro di te e addirittura contro la professione medica in toto. Potresti fare un commento relazionando ciò che hai vissuto con queste reazioni?

Sicuramente, è stato bello leggere le parole di tante persone che in qualche modo mi hanno sostenuta, ma, non lo posso negare, ho provato anche tanta frustrazione e amarezza in relazione a chi si è scagliato contro di me. Questo non perché io non accetti le critiche, anzi, credo sia sempre utile mettersi in dubbio, ma a causa dei contenuti e del tono con cui questi sono stati esposti.

Capisco che le persone siano frastornate da questa situazione, lo siamo tutti in un modo o nell’altro, ma negare questa pandemia o affermare che si stia ingigantendo la questione, mi sembra veramente pazzesco. Ci sono costanti paragoni con l’influenza, sostenendo che faccia numerosi morti e che sia, pertanto, paragonabile al covid-19; se però fosse così, da molti anni in inverno gli ospedali sarebbero al collasso e questa situazione si sarebbe riproposta in più occasioni.

Quello che alcune persone non vogliono comprendere o accettare è che, solo perché loro stessi, i loro cari e conoscenti non si sono ammalati oppure hanno sviluppato una forma lieve dell’infezione, non vuol dire che tutti gli altri stiano vivendo la stessa situazione. I medici lanciano segnali d’allarme non per manie di protagonismo o eccesso di cautela, ma perché veramente non ci sono i mezzi per curare adeguatamente un numero di persone così elevato.

La rabbia è sicuramente un sentimento giustificato, ma non se affiancata alla presunzione di poter decidere della vita altrui. Alla società di oggi manca veramente l’empatia; mi ha colpito veder stressato ovunque il fatto che tanto muoiano prevalentemente gli anziani: premesso che il punto non è la mortalità, ma la gravità dell’infezione e la necessità di ingenti terapie, ma in ogni caso trovo avvilente che una vita conti meno di un’altra.

Qui sotto una rielaborazione del post, pomo della discordia, interpretato dai lettori nei modi più svariati. A scanso di equivoci vorresti raccontarci le ragioni e i sentimenti che ti hanno spinta a pubblicarlo?

“Una dedica a tutti coloro che non hanno usato e non usano la mascherina.

Vi ringrazio, perché sono chiusa in casa e dipendo dagli altri per ogni cosa. Perché ho visto un mio caro con la polmonite e ho avuto paura che avesse necessità di essere ricoverato, che morisse.

Vi ringrazio perché non posso svolgere la professione di medico in quei luoghi dove ce ne sarebbe necessità, dai quali mi sento dire “la situazione è drammatica”, “siamo tornati a marzo”. Reparti ormai al collasso, pieni di pazienti in gravi condizioni cliniche.

Ora, probabilmente essere dotati di senso civico e umanità rende le persone corrotte e traviate dal sistema. Ma forse se aveste provato la paura, se in quei reparti aveste fatto un giro, se aveste toccato con mano la sofferenza altrui, guardano le persone consumarsi, cambiereste idea.

Il problema non è quello di avere un numero di decessi maggiore rispetto ad altri agenti patogeni, ma della gravità di quest’infezione, della mancanza di posti letto negli ospedali, delle conseguenze a lungo termine, ancora ignote. La tanto citata influenza causa decessi e porta alla necessità di ricovero, ma i numeri, la gravità e le conseguenze non hanno la stessa portata.

Una mascherina rappresenta davvero una forma di limitazione della libertà dell’individuo? Se fosse la nuova tendenza dell’anno, non correrebbero forse tutti a comprarla? Bisognerebbe interrogarsi a lungo su cosa sia veramente la libertà di scelta.

Vi chiedo solamente di cercare dentro di voi un minimo di umanità di indossare la mascherina come piccolo gesto di altruismo”.

In parte credo di aver già esposto le mie motivazioni, rispondendo alla domanda precedente.

Questo post è stato sicuramente uno sfogo di paura e rabbia. Ho avuto paura che mia mamma venisse ricoverata, che avesse bisogno di essere ventilata con un casco e che, vista la saturazione degli ospedali, per lei questo presidio non fosse disponibile, quindi paura di perderla.

Rabbia, perché lei, che la mascherina quasi la terrebbe pure mentre dorme, rigorosa e attenta, è entrata in contatto e quindi è stata contagiata da persone senza mascherina, che probabilmente non credono nemmeno che questo virus esista.

Rabbia, perché indossare una mascherina è davvero un gesto insignificante nella quotidianità e soprattutto altruista: io sono convinta del fatto che, se le persone avessero indossato la mascherina quanto più possibile, non saremmo a questo punto. Invece, questo presidio sembra venga considerato come uno strumento imposto da una dittatura, come se fosse il primo di tanti passi verso la privazione delle libertà. Probabilmente molte persone non si soffermano seriamente a pensare a cosa sia una dittatura e a quali libertà debbano rinunciare gli individui, che vivono in stati con questa forma di governo.

Questa pandemia credo abbia messo in luce quanto la società sia disgregata, quanto non ci sia nemmeno il concetto di bene comune, ma prevalgano esclusivamente gli interessi del singolo.

Un tema caldo riguarda la tenuta del sistema sanitario sotto il profilo delle infrastrutture piuttosto che sul tema del personale sanitario. Qual è la tua opinione in merito? Cosa è stato fatto e cosa manca ancora?

Il sistema sanitario è in una situazione critica ormai da molti anni, anche perché i tagli sono stati maggiori degli investimenti. A livello teorico avremmo davvero un ottimo sistema, visto che il pagamento delle tasse permetterebbe di accedere a qualunque tipo di prestazione medica.

Il problema è che, togliendo progressivamente risorse, il pubblico si è trovato nella situazione di poter offrire sempre meno con conseguente necessità di virare sul privato: se hai i soldi, puoi curarti. Mi sembra inconcepibile, visto che la salute dovrebbe essere un diritto per tutti.

Non essendo un’esperta in materia, però, non so definire nello specifico quali misure andrebbero attuate per invertire questa tendenza. Forse se una maggior quota del PIL venisse investito nella sanità, sarebbe già un passo avanti.

Ponendo come assunto indispensabile il rinforzo del sistema sanitario, sarebbe effettivamente questa la soluzione del problema o sarebbe come arginare un fiume arrivato ormai a valle? Non sarebbe meglio creare una diga a monte attraverso i sistemi di prevenzione? Al di fuori della mascherina abbiamo altre soluzioni?

La medicina di prevenzione effettivamente sarebbe un ottimo metodo, in generale, per ottimizzare le spese del sistema sanitario. Gli interventi di prevenzione risultano essere più economici a lungo termine rispetto a quelli di cura, ma, ovviamente, per realizzarli è necessario un sistema ben organizzato soprattutto a livello territoriale.

Un modello che potrebbe chiarire meglio questo concetto, è quello di “Prevenzione Serena”, programma di screening per tumore della mammella, del colon-retto e del collo dell’utero offerto dalla Regione Piemonte. Prendendo in esempio il tumore della mammella: per il Sistema Sanitario il costo di una mammografia annuale, rispetto a quello di un intervento chirurgico di rimozione del tumore, è decisamente inferiore, ma per permettere alla popolazione femminile di accedere a questo servizio, sono necessari edifici, strumenti e personale. Quindi nell’immediato c’è la necessità di un grande investimento, i cui risultati si vedranno solo nel tempo; pertanto, se già il sistema è in crisi, probabilmente finirà per non disporre subito dei mezzi per realizzare tutto ciò.

Però, è indubbio che potenziare soprattutto la medicina del territorio sarebbe un intervento necessario ed estremamente efficace in un organismo come il nostro, che sta diventando sempre più ospedale-centrico, con ospedali che, però, non sono più in grado di gestire la mole di pazienti in carico.

Per quanto riguarda il covid-19, credo che, a parte il distanziamento, l’utilizzo delle mascherine, il lavaggio delle mani e in generale le misure indicate dalle autorità sanitarie, non vi siano al momento mezzi particolarmente più efficaci.

Leggevo recentemente che questo virus, a differenza dell’influenza, si diffonde per sovradispersione, cioè crea dei focolai: basta una persona altamente infettante, per contagiare un numero elevato di altri individui. Questo meccanismo è, ovviamente, potenziato da una serie di condizioni concomitanti: ambienti chiusi, scarsamente ventilati, contatto prolungato e affollamento.

Per questo, credo che le precauzioni che ognuno di noi dovrebbe adottare siano quelle che ho elencato precedentemente.

Personalmente trovo l'informazione dei media carente sotto il punto di vista delle persone che sono state malate gravi di Covid19 o dei medici che come te sono a contatto quotidianamente con i malati. Forse solo ora che alcune personalità addette al mondo dell'informazione e dello spettacolo hanno contratto la malattia stanno acquistando risonanza le testimonianze dirette dei malati gravi. Non pensi che la categorie dei medici ospedalieri e dei malati debbano essere rappresentate meglio sotto il profilo dell'informazione di massa? Dopotutto sono queste due categorie ad esperire i disagi della malattia. Pensi che il contributo di ognuno di noi, nella nostra quotidianità possa convincere coloro che sono scettici rispetto alla malattia del Covid19? C'è qualcosa che si potrebbe fare che ancora non è stato fatto sotto questo punto di vista?

In effetti anche io ho avuto l’impressione che le esperienze di chi ha contratto il covid-19 siano state poco “pubblicizzate”, rispetto a opinioni di esperti in materia, direttori di strutture ospedaliere e varie altre figure. Credo che, se a chi ha sperimentato l’infezione sulla propria pelle, così come a chi lavora sul campo con i pazienti affetti da covid-19, venisse dato maggiore spazio, forse anche l’opinione pubblica avrebbe più mezzi per capire cosa sta succedendo in questo momento nei luoghi di cura.

Ci sono persone, che sostengono che gli ospedali non siano davvero al collasso, che sia tutta una montatura: forse, se venissero messi più a contatto con le testimonianze di chi è stato ricoverato oppure curato al domicilio, o degli operatori sanitari, potrebbero in qualche modo vedere la situazione sotto una diversa prospettiva.

Purtroppo, non è facile convincere gli scettici, anche perché Internet permette a chiunque di esprimere un’opinione, anche se non competente in materia, e a raccogliere un certo numero di sostenitori. Oggi si tende a mettere in dubbio tutto, tranne ciò in cui si è deciso di credere, senza mai pensare di poter sbagliare. Eppure, il fatto che ogni persona si specializzi in un certo campo, serve proprio per formare degli individui competenti in una certa materia.

Se, ad esempio, sono a fare shopping con un’amica che fa la sarta, vorrei comprare una maglia, ma lei mi dice che il tessuto non vale niente, io non mi metto a sindacare, ma mi fido della sua opinione, in quanto so che in quel campo ha più competenze di me. Allo stesso modo non mi metto a dire all’elettricista che non ha capito niente e sta sbagliando, né al geometra, né al consulente bancario, né al pilota, né al macellaio e potrei andare avanti all’infinito. Ognuno di noi seppur competente in materia può sbagliare, è lecito, infatti ci si può confrontare, ma allo stesso modo anche noi stessi possiamo cadere nell’errore; credo si debba cercare di fidarsi maggiormente degli altri e non ascoltare solo ciò che in qualche modo ci fa comodo.

Forse bisognerebbe muoversi affinché le persone tornassero ad avere fiducia nella comunità scientifica, magari essendo più comunicativi, ma con un linguaggio meno articolato, più semplice e più umile, forse utilizzando degli intermediari, persone che siano più abili nel riuscire a trasmettere un messaggio. Non è sicuramente un compito semplice, ma oggi più che mai necessario.

ERMANNO CAPIRONE

Writer
Musicista, idealista, appassionato di cosmologia.
Fermo sostenitore del DIY, approccia alla scrittura per puro piacere convinto che la penna ferisca più della spada.
Lavora in piscina e produce musica sotto lo pseudonimo di Bob Rocket