L’odore del denaro

Sarò sincera.
Nella ricerca di un appartamento o di una camera, che sia per lavoro, vacanza o per un cambio radicale di vita, il bagno è l’asso nella manica.
E credetemi, se non siete ancora di questa idea, lo diventerete negli anni!

Ritornare anche solo con l’immaginazione a tempi sprovvisti della sacra toilet è arduo, arduo davvero.
Non dobbiamo pensare, però, che questa sia un’invenzione moderna.
Non troppo, almeno.

Ci sono testimonianze di bagni primordiali già nell’antica Mesopotamia, più precisamente nel tardo quarto millennio d.C.
Pozzi profondi all’incirca 4,5 metri, rivestiti da una pila di cilindri di ceramica cavi, attraverso i quali veniva gettata manualmente dell’acqua per rimuoverne i rifiuti.
Come ho detto primordiali, ma certamente lungimiranti.

Gli studiosi non hanno ancora dato a tali pozzi l’importanza che meriterebbero.
Nessuno è ancora stato scavato e analizzato a fondo.
E gli stessi abitanti della Mesopotamia sembrano aver avuto poca fiducia nella nuova tecnologia.
Nonostante sarebbe stato conveniente avere orinatoi a basso prezzo e di facile costruzione separati dal resto della casa, questi si possono rintracciare all’interno di pochissime abitazioni.
Vai a capirli.

Così anche i benefici dell’uso di questi bagni a pozzo rimasero miseri.
Perché una tecnologia possa mostrare i suoi risultati positivi ne serve un impiego da parte del 75% della popolazione, come dichiarato dall’Agenzia Americana per lo Sviluppo Internazionale.

Ed ecco che 1000 anni dopo, la civiltà Micenea sull’isola di Creta, ritorna sull’idea dei bagni a pozzo, migliorandola, aggiungendovi quel tocco in più: lo sciacquone.

Il primo esempio lampante si ha niente di meno che all’interno del turisticamente noto Palazzo di Cnosso.

L’acqua scorreva nel sistema fognario trasportando al di fuori della dimora reale i rifiuti chimici.
Ma non è finita qui.
Gli antichi Greci, soprattutto quelli del periodo Ellenistico, crearono latrine su larga scala (panchine collegate ad un sistema di drenaggio) e le resero disponibili anche per la borghesia di allora.
La toilette iniziava a percepirsi come un comfort indispensabile all’interno di società sempre più prosperose.

Finalmente si ragiona.

Sono i Romani, però, ad aver adottato maggiormente i bagni all’interno dei propri spazi pubblici e privati.
La toilette divenne nel primo secolo d.C una vera e propria struttura architettonica, tanto quanto le terme.
Gli archeologi sanno ancora poco di come funzionassero le latrine in quel tempo o di cosa ne pensassero i romani stessi; le fonti pervenute al riguardo non sono sufficienti.

I bagni pubblici romani assomigliano molto ai loro predecessori greci, mentre quelli privati venivano sistemati vicino alla cucina (per smaltirvi anche gli avanzi di cibo), senza essere collegati alle fognature.
Una volta piena, la fossa si scaricava a mano.

A dispetto di quanto si possa pensare, le fogne romane non erano esenti da problemi di funzionamento. La stessa Cloaca Maxima, la grande fogna sotterranea della nostra capitale, poteva intasarsi completamente a causa del limo nel giro di un solo anno.

Una maggior diffusione di spazi adibiti a latrine farebbe pensare a migliori condizioni igieniche della popolazione.
Eppure, studi su resti organici di quel tempo, hanno dimostrato stranamente il contrario.

La strada è ancora lunga.

Se c’è una cosa, però, che i bagni pubblici migliorarono furono gli introiti dello Stato.
E ci riuscirono grazie all’imperatore Vespasiano.

Tito Flavio Vespasiano, figlio di un esattore (buon sangue non mente) e di una nobildonna, fu acclamato imperatore dal Senato romano nel 70 d.C.
Il dissesto dello Stato era a livelli altissimi; secondo quanto riportato dallo storico Svetonio, Roma avrebbe avuto bisogno la bellezza di 40 miliardi di sesterzi per risollevarsi.
E dove trovare più soldi se non nelle tasche del popolo?
Ecco, quindi, che oltre ad aumentare qualsiasi tassa possibile, ne vennero inventate anche di nuove.

Una su tutte, e da qui l’abitudine di chiamare le latrine proprio vespasiani, la tassa sull’urina.
Quest’ultima, infatti, oltre ad essere un rifiuto organico di un atto fisiologico fondamentale e irrinunciabile, era anche un prodotto necessario per alcune categorie lavorative.
Tra questi, i fullones, ovvero i lavandai del tempo, che impiegavano l’urina come detergente.

Affresco in una fullonica di Pompei

Ben prima di Machiavelli, Vespasiano aveva capito che il fine giustifica sempre i mezzi.
D’altronde, “pecunia non olet”, il denaro non puzza.

FEDERICA ZORZELLA

Writer
Laureata in Beni Culturali, anima vintage e mente moderna.
Grande lettrice, consumatrice seriale di film, appassionata di storia e crime.