Louise Brooks: la “flapper” degli anni ’20

Con un caschetto così, non c’è dubbio: veniamo catapultati immediatamente nei ruggenti anni ‘20.

Decennio segnato da grandi cambiamenti e rivoluzioni; sono gli anni del proibizionismo, l’era del jazz e della voce calda di Louis Armstrong, di Charlie Chaplin e i suoi film comici muti e del Charleston che echeggia nei club musicali.

Ma fu’ anche e soprattutto un periodo caratterizzato dall’emancipazione delle donne americane, alle quali, il 18 Agosto 1920, finalmente veniva riconosciuto il diritto di votare.
E questo fu solo il primo passo di una progressiva trasformazione alla quale andò incontro l’immagine femminile in quegli anni.

Le stesse donne che durante la Grande Guerra fecero il loro ingresso nella società, accedendo ad attività lavorative dalle quali per molto tempo erano state escluse, finalmente iniziarono a prendere consapevolezza delle loro capacità e possibilità, sperimentandosi in nuovi ruoli al di fuori della vita domestica alla quale erano sempre state abituate.

Questo comportò un netto cambiamento della mentalità di molte giovani dell’epoca, che cominciarono gradualmente ad acquisire una maggiore libertà nei comportamenti sociali, lasciando indietro il modello della, ormai all’epilogo, Belle Epoque.

Addio gonne lunghe e strette, benvenute gonne corte e pratiche. 

La nuova figura femminile era rappresentata da una donna androgina, magra, capelli a caschetto o comunque molto corti (alla garçonne), che veste uno stile non convenzionale ma fatto di pantaloni di taglio maschile o sobrie mise, con frange e piume e lunghe collane di perle.

Non a caso fu il periodo in cui la moda venne completamente stravolta dall’immortale Coco Chanel, che prediligeva abiti confortevoli, sportivi e molto maschili, prendendo spunto dalle tenute dei suoi amanti.
Un’ulteriore possibilità per rafforzare l’ormai evidente emancipazione della donna e la sua indipendenza.

Quella stessa indipendenza che vogliono conquistarsi le giovani ragazze degli anni ‘20 che danno vita al movimento delle Flappers mettendo per la prima volta sotto i riflettori una visione di DONNA che si distacca dal ruolo fino ad allora a lei conferito, e si distingue per le proprie idee anticonvenzionali e scelte estetiche peculiari, senza paura di mostrarlo.
“Ragazza emancipata”, così si traduce dallo slang inglese, anche se per molto tempo venne utilizzato per definirle come giovani prostitute in modo dispregiativo.
Sono le giovani, che dopo aver vissuto l’esperienza traumatica della Grande Guerra e il successivo avvento della epidemia d’influenza spagnola (tanto per rimanere in tema pandemie) iniziarono a concepire uno stile di vita “lieve e godereccio”, una vita tanto bella che poteva però terminare in un attimo.
Donne libere ed indipendenti, precorritrici della modernizzazione attuale; trucco intenso, bevono, fumano e si rapportano con disinvoltura con il sesso, preferendo viversi la loro giovinezza appagando i propri desideri piuttosto che aspettare di maritarsi.

Le prime apparizioni di queste nuove “donne ribelli” furono attraverso il mondo del cinema, che stava subendo anch’esso, proprio in quegli stessi anni, una forte rivoluzione.

Ed è qui che finalmente incontriamo la protagonista di questo appuntamento: Louise Brooks, una delle prime donne che diedero un volto allo stile Flapper sul grande schermo.

Un’artista purtroppo dimenticata, ma che ha sicuramente sconvolto il mondo del cinema muto consacrandola per sempre, anche se con alle spalle una carriera esigua, come un’icona di stile e diva cinematografica in grado di perdurare nel tempo.

Viene considerata la femme fatale del silent-movie; figura minuta, volto che ispira malinconia, caratterizzato dal tipico colorito pallido, labbra in risalto e lo smokey eyes che accentuano gli occhi, essenziali per la recitazione.

Ricordata per la sua spiccata sensualità in ogni suo movimento e il suo particolare taglio di capelli, fu portavoce di un cinema peculiare e progressista, dando vita a personaggi carichi di una vena erotica e provocante e sviluppando temi, quali la sessualità femminile totalmente nuovi per quei tempi.

La donna non era più un personaggio secondario, la “spalla” dell’uomo ma bensì artefice del proprio destino.
La sua carriera inizia in America, con pochi incisivi ruoli, ma prende il volo in Europa dove girò i due film che la resero immortale: “Il Vaso di Pandora” e “Diario di una donna perduta”, film che vennero per molto tempo censurati proprio per i temi rivoluzionari che venivano per le prime volte portate sotto i riflettori, quali sessualità e satira sociale.

Diventa una vera fonte di ispirazione per molte giovani donne dell’epoca, e non solo. 

Addirittura il maestro di fumetto d’autore Guido Crepax, ne rimase affascinato, prendendola come modello di riferimento per rappresentare “Valentina”, che riportò in vita Louise Brooks, diventando esempio di modernità e libertà.

Ma è al ritorno in America che Louise si trova a scontrarsi con il duro mondo di Hollywood, che non le perdonò mai di aver preferito il cinema europeo rispetto a quello americano, escludendola dal novero delle star cinematografiche e consegnando il suo ruolo di sex-symbol nelle mani di attrici quali Marlene Dietrich e Greta Garbo.

Fu un duro colpo per la Brooks che faticò senza mai riuscire a reintegrarsi, e la cui, carriera, finì definitivamente quando rifiutò il ruolo principale nel film “Nemico Pubblico”.

Rimase nell’oblio per molti anni, fino a quando negli anni ‘50 la critica francese riscoprì i suoi film, conferendole i meriti che le spettavano e rivalutando il suo ruolo nel cinema muto degli anni ‘20.

Solo in età avanzata inizierà a scrivere di quel mondo cinematografico, a volte troppo spietato; un mondo che l’aveva fatta diventare una star per poi rimpiazzarla in quanto persona non gradita:

“Vivevo in una sorta di incubo. Mi ero perduta nei corridoi di un grande albergo e non riuscivo più a ritrovare la mia camera. Ero sfiorata da altre persone, ma avevo l’impressione che non potessero né vedermi né udirmi. Così sono fuggita da Hollywood e tuttora non ho ancora smesso di scappare”

Queste fotografie furono alcune dei tanti ritratti promozionali per riviste alla quale molti attori della prima parte del XX secolo dovettero prendere parte, in quanto la loro richiesta stava sempre più aumentando. Il loro obiettivo era quello di idealizzare la figura dell’attore rendendoli eterei, perfetti e quasi irraggiungibili.

Le due qui riportate furono scattate nel 1928 da Eugene Robert Richee, allora 27enne, che lavorava ormai da anni per il dipartimento fotografico della Paramount Pictures.

Sono due opere monumentali, soprattutto per il grandioso utilizzo delle luci e la capacità di Richee stesso nel saper includere spesso nelle sue fotografie oggetti di scena, come la lunga collana di perle in questo caso, che sapessero riflettere la luce per esaltare Louise.

Lei indossa un lungo abito nero che, fondendosi con quello dello sfondo, lascia solamente godere alla vista dello spettatore, le sue mani e il suo volto, incluso il tipico “bob” che la caratterizzava, celebrando la bellezza senza tempo della Brooks, allora all’apice della sua carriera.
Non c’è altro sulla scena.
Richee rimuove tutto ciò che può distrarre dall’attenzione dell’osservatore, esempio impeccabile di minimalismo che riesce ad appagare l’occhio grazie al forte contrasto del bianco pallido e liscio della pelle della diva e il nero del suo abito.

Louise emana, tramite la posa delle sue mani e il suo sguardo, quell’eleganza e allo stesso tempo malinconia che la contraddistinguevano, proiettandola in uno spazio e tempo diverso, rendendola quasi “astratta”, intoccabile, ma caricandola perfettamente dello spirito rivoluzionario delle “flapper” dei “ruggenti anni ‘20”.

 

In questa puntata abbiamo voluto ricordare due artisti, accomunati da un grande talento ma allo stesso tempo tristemente dimenticato.

CECILIA ZORZELLA

Writer & Web Designer
Laureata in Informatica, appassionata di Fotografia e Psicologia.
3 cose di cui non riesco a fare a meno:
la mia polaroid, la giusta colonna sonora, un viaggio in programma.

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