
La storia ha ancora tanto da insegnarci.
E nonostante già molto si sappia delle sofferenze inflitte al popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale, conosciamo ancora poco delle storie coraggiose di cui è intrisa la resistenza di quello stesso popolo.
Non è difficile imbattersi nell’opinione che una resistenza ebraica non sia realmente esistita, che si sarebbe potuto fare di più.
Niente di più falso.
E grazie alle preziose ricerche di centri di studio come la Wiener Holocaust Library di Londra oggi quelle storie coraggiose hanno iniziato a vedere la luce.
Dalle ribellioni più silenziose a quelle più rumorose, la resistenza ebraica ha assunto nel tempo forme diverse.
Storie di eroismo civile, organizzazione armata e reti di salvataggio per chi era costretto nei ghetti o sul fronte.
Ne è un primo caso lampante lo sforzo straordinario di Tosia Altman, giovane donna, membro del movimento giovanile sionista socialista Hashomer Hatzair, che si introdusse di nascosto nei ghetti polacchi grazie a documenti falsi “arianizzati”.
Una volta dentro, si distinse per l’organizzazione di gruppi di resistenza, diffusione di informazioni e trasporto di armi, prima di essere catturata e morire per le ferite riportate, a soli 24 anni, dopo la rivolta del ghetto di Varsavia nel 1943.
Non si è mai troppo giovani per fare la differenza.
Ghetto di Varsavia
Ci sono atti di ribellione, poi, totalmente pacifici, come l’impegno straordinario di Philipp Manes per mantenere viva una cultura che il mondo voleva morta.
All’interno dei suoi diari, solo recentemente ritrovati, poesie, lettere e disegni di prigionieri all’interno del ghetto di Theresienstadt (nel quale Manes venne rinchiuso con la moglie) che racchiudono sforzi immani per poter tramandare linguaggio e storia ebrea.
Manes fu una figura chiave per la vita del ghetto, documentando tutto nei minimi dettagli.
La sua ultima frase, però, è spezzata, lasciata a metà.
Il 28 Ottobre del 1944 quest’uomo ribelle venne deportato ad Aushwitz e non fece più ritorno.
Campo di Terezin
La ricerca ha sottratto all’oblio anche le vicende legate al Baum Group, fondato da Herbert Baum, sua moglie e alcuni amici, come parte della resistenza anti-nazista nella Berlino degli anni ‘30.
Quasi tutti i membri erano ebrei e, seppur il movimento prese vita su spinta delle loro credenze socialiste, continuò la sua esistenza anche per opporsi alle persecuzioni contro il popolo di appartenenza.
Herbert Baum
Nel 1940 Baum, costretto a lavorare all’interno di una fabbrica Siemens, sfruttò la situazione a proprio vantaggio: reclutò altri giovani ebrei che aderissero al suo gruppo, allargandolo ad oltre 100 membri.
L’anno dopo, a seguito dell’invasione tedesca in Unione Sovietica, il Baum Group si attivò per la distribuzione di volantini denuncianti le atrocità perpetrate durate l’occupazione.
E si spinsero oltre.
Alcuni membri colpirono la mostra nazista chiamata Soviet Paradise in un attentato, durante il quale quasi tutti vennero catturati e posti sotto arresto.
Tra loro anche lo stesso Herbert Baum, il fondatore, assassinato poi nella prigione di Moabit a Berlino l’11 Giugno del 1942.
Poster della mostra colpita dal Baum Group
Credo che proprio queste forme di organizzazioni tra cittadini per far funzionare, nonostante tutto, l’educazione, l’assistenza sociale, le pratiche religiose, scrivendo magari diari, stilando documenti e producendo testimonianze scritte, siano state una delle chiavi per la resistenza del popolo ebraico.
Modi per non lasciar morire la loro personale umanità e resistere.
Resistere a quel periodo così buio e tornare ad esistere.
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