Un anno dopo: pandemia, lockdown e salute mentale

Quasi un anno fa, la rubrica Mente&Core prendeva piede proprio toccando il tema della salute mentale post lockdown, e di come la situazione pandemica abbia influito sul benessere delle persone, soprattutto di noi giovani. Cos’è successo intanto? Come stiamo ora?

Il Covid-19 e le mosse istituzionali, politiche, sociali e sanitarie conseguenti sono probabilmente uno degli eventi storici più impattanti dell’ultimo secolo. Contrariamente ad altri eventi storici “forti”, la pandemia ha costretto tutto il mondo a fermarsi, cambiare drasticamente abitudini e percezioni, imparare in fretta a stare in una diversa posizione rispetto agli altri: il telelavoro ci ha portati lontani fisicamente dai colleghi, chiusure e divieto di assembramenti a non formare gruppi o masse di persone, il distanziamento fisico a percepire diversamente la vicinanza di altri corpi intorno, e così via. Nuove posizioni fisiche e psicologiche da assumere in fretta, in una dimensione di emergenza.

In qualche modo le indicazioni preventive anti-covid hanno chiesto al nostro sistema psico-fisico una sorta di “cambio di rotta” rispetto alla nostra programmazione cerebrale e psicologica: siamo animali sociali, e ci è stato chiesto di rivoluzionare le modalità di socializzazione e relazione; siamo animali a volte routinari,  e ci è stato chiesto di cambiare la quotidianità; siamo essere viventi che si spostano in diversi ambienti rispetto al proprio “nido” o tana, e ci è stato chiesto di stare invece dentro casa il più possibile; siamo animali che proiettano se stessi e la propria vita anche a lungo termine, e ci siamo invece abituati a stare fermi, in attesa, a non sapere come andrà, e non progettare più di tanto. 

 

In quest’anno sono girate tante notizie relativamente alla salute mentale post pandemia, in fasi diverse e con significati diversi. Proviamo a fare una breve panoramica per orientarci e capire come stiamo e come abbiamo reagito a questa situazione effettivamente impattante per le nostre vite (anche se non siamo stati toccati direttamente dal virus).

1) SINDROME DELLA CAPANNA
Termine diffuso soprattutto a maggio 2020, nella cosiddetta “Fase 2” italiana, quando cioè i numeri della pandemia e l’avvicinarsi dell’estate hanno portato parziali riaperture e l’uscita dalle case, dopo il lockdown totale della primavera. Dopo circa 80 giorni chiusi in casa, in molti hanno sentito la paura, l’ansia, la non motivazione a uscire e riprendere gli spazi pubblici inaccessibili nei mesi precedenti. Per molti è stata presente anche l’ansia alle abitudini di socializzazione pre-covid: concependo le altre persone – e noi stessi – come veicoli di contagio, avvicinarsi agli altri fisicamente è stato considerato qualcosa di estremamente pericoloso e da evitare. L’abitudine alla vita dentro casa, dentro la capanna appunto, ha dato  sia reazioni di rifiuto verso le uscite libere e simili ai mesi pre-covid, sia, per alcuni, l’aumento del bisogno di stare fuori e di svolgere attività come se nulla fosse successo. Due risvolti della stessa sindrome che dipende dal carattere e dalle nostre predisposizioni personali: per molto introversi le chiusure sono state infatti un assetto positivo per ritrovare del tempo per se stessi e un equilibrio personale, per gli estroversi è stato invece pesante non esprimersi appieno grazie alla socialità e alle relazioni. 

2) PANDEMIC FATIGUE

La stanchezza da Covid. Nella dimensione fisica e mentale insieme, la pandemic fatigue è arrivata quest’ultimo inverno, all’ennesima chiusura, dopo mesi di “novità”, allarme ed emozioni molto intense per l’evento impattante. Vivere periodi lunghi di allarme e intensità, porta a una stanchezza emotiva cronica (che si ripercuote anche a livello fisico), abbassamento della motivazione e inedia generale. Si è percepita la pandemic fatigue soprattutto a cavallo tra il 2020 e il 2021: se infatti nella primavera 2020 molti di noi hanno vissuto pandemia e lockdown come qualcosa di temporaneo (suona qui i leitmotiv “Ce la faremo” e “Andrà tutto bene”), con una fine visibile all’orizzonte, a fine 2020 e inizio 2021 si è insinuata una versione ripetuta della situazione, che ha prodotto vissuti di impotenza generale e rabbia silenziosa; insieme comunque al timore del virus stesso (e ancora l’idea delle vaccinazioni era lontana).

 

3) LANGUISHING – (tradotto in italiano come ILLANGUIDIMENTO

Diffuso lo scorso aprile, il termine rientra nelle teorie della Psicologia Positiva. Secondo questo  approccio il benessere arriva se stiamo in uno stato di Flourishing, di crescita personale in equilibrio con ciò che ci circonda e con ciò che viviamo e desideriamo. L’opposto del Flourishing è il disagio mentale, il malessere psicologico e, in alcuni casi, sintomi psicologici e disturbi. A metà tra salute e disturbo, il languishing: uno stato mentale di “languore”, di assenza di benessere. Questa assenza di benessere non comporta per forza sintomi o disagi, ma è uno stato emotivo di fermo, di attesa, di sospensione. Il termine è arrivato nei nostri newsfeed grazie a un lungo articolo sul New York Times dello psicologo Adam Grant, che riprende il termine del sociologo Corey Keyes. Il languishing è la reazione di spallucce alla nostra stessa vita, il senso di “Meh” che si prova pensando alla quotidianità o al futuro, l’emoticon nè felice nè triste, la propensione a fare ciò che si deve ma a non essere tanto entusiasti nel progettare cose nuove (anche belle e desideratissime). E’ la mancanza di vivacità piena alle  cose della vita, anche quelle che ci riguardano. E’ possibile sia un effetto di un’impotenza percepita verso tutto ciò che succede, un evento imprevedibile nelle sue conseguenze e nei cambiamenti che ha portato, una situazione che ci ha richiesto spesso grossi adattamenti, cambiamenti di piani, progetti che saltano, sicurezze da sospendere. 


Cosa si può fare?
Essere consapevoli dei cambiamenti che abbiamo vissuto è il primo passo per stare meglio. E’ importante non sottovalutare questo dolore condiviso, ma anzi dargli un nome, parlarne e confrontarsi.
Per allontanarci dallo stato di languishing si possono seguire alcune buone abitudini verso il Flourishing, che è appunto uno stato di benessere globale: ad esempio, concentrarci su qualcosa che ci coinvolga appieno, una passione, un nuovo libro, una nuova serie, o anche cercare la connessione a un gruppo o una comunità con cui si condividono passioni e obiettivi; non da ultimo, seguire i propri vissuti e bisogni.

E tu, come stai? Hai percepito dei cambiamenti nel tuo modo di vivere la quotidianità? Se ti va, raccontaci la tua esperienza e opinione nei commenti o sui social.

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Questo articolo ha natura esclusivamente informativa. Se vivi una situazione di disagio o di malessere rivolgiti sempre a un professionista della salute mentale.

ALESSIA GRAMAI

Writer
Psicologa, (quasi) sessuologa, sarda, femminista.
Polemica, a volte; troppo concentrata su cosa succede nel mondo, spesso; piena di dubbi, sempre.