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Inutile fare introduzioni.
Robert Capa sa presentarsi da solo, attraverso la sua arte.
Membro fondatore di una delle più prestigiose agenzie fotografiche esistenti, la Magnum Photos, che ha dato i “natali” ad altri grandi protagonisti del settore quali Steve MCcurry o Eliott Erwitt per citarne alcuni.

Molti lo ricorderanno per la sua impareggiabile carriera di fotogiornalismo.
Non si tirò indietro di fronte alla sofferenza, al dolore e alla paura, calcando per la maggior parte della sua vita i campi di battaglia e presenziando in prima linea in alcuni dei maggiori conflitti mondiali della metà del 1900 che sconvolsero per sempre la storia umana.
John Steinbeck«Capa sapeva che cosa cercare e cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un'emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell'emozione conoscendola da vicino.»
Con tali parole il noto scrittore Steinbeck gli consegnava una sovranità senza precedenti, colui che aveva compreso l’importanza di usare la sua arte come al tempo stesso testimonianza e denuncia, non piegandosi davanti alle atrocità della guerra e della follia umana.
“La verità è l’immagine migliore, la migliore propaganda”
Per oltre 20 anni di carriera si è fatto promotore di quella verità troppo difficile da mandar giù, verità che ormai siamo soliti riconoscere nelle sue foto, dove fragilità e crudele realtà si mostrano insieme senza alcun filtro, capaci di raccontare la storia in uno scatto rigorosamente in bianco e nero.

Ma Robert Capa è molto più di questo.
Perchè questo autore non ha finito di sorprenderci, regalandoci invece uno sguardo completamente nuovo e dimostrando ancora una volta la sua indiscutibile capacità di fare arte anche con l’uso dei colori.
Proprio in questi giorni, con la riapertura delle mostre, mi è stato possibile assistere in prima persona ad una vera e propria celebrazione fotografica, una retrospettiva completamente nuova che riesce a dar prova della sua inconfondibile curiosità artistica.

“CAPA IN COLOR”, questo il nome della mostra ora visitabile ai Musei Reali di Torino prorogata fino al 30 Maggio, nata da un progetto di Cynthia Young, curatrice della collezione al Centro Internazionale di Fotografia di New York, e che presenta una raccolta di 150 scatti a colori, di lettere personali e riviste.
Una possibilità unica di poter approfondire un’autore che ha fatto delle sue immagini in bianco e nero tratto distintivo ma che ha saputo reinventarsi, avvicinandosi ai sempre più innovativi mezzi fotografici e all’integrazione del colore nei suoi reportage.
Capacità forse troppo poco riconosciuta, dovuta sia al tardivo avvicinamento a questa tecnica sia all’impossibilità di sperimentarla ampiamente a causa della sua tragica morte avvenuta in un incidente in uno dei suoi incarichi. Neppure in quel tragico momento venne meno quel suo grande legame con la sua unica grande compagna, il filo conduttore della sua memorabile vita: la fotografia.
Proprio al volgere conclusivo del secondo conflitto mondiale, Capa si convertì sempre più all’uso delle note pellicole a colori Kodachrome, tanto da impegnare, in ogni viaggio, almeno due macchine fotografiche, una per gli scatti in bianco e nero e la seconda per quelle a colori.
Molti furono i lavori a lui commissionati da parte di alcune delle famose riviste dell’epoca come Holiday, Illustrated e Epoca, rispettivamente americana, inglese ed Italiana.
Ed è proprio con questi scatti che scopriamo il nuovo Capa, un’artista ancora da scoprire.
Un talento capace a portare lo spettatore non solo ad arrendersi di fronte all’orrore della guerra ma anche un capace narratore e ritrattista della vita comune ed altolocata degli Americani che trascorrono le loro vacanze invernali nelle stazioni sciistiche più alla moda (passione che d’altro canto condivideva).

Ritratti che sembrano provenire da un altro secolo, donne che mostrano quasi un’indipendenza che piano piano si faceva strada in quegli anni.
Scatti nei quali emergono semplicità e naturalezza, la vita dopo la guerra, dove il bianco e il nero hanno lasciato il posto a colori vivaci e volti gioiosi, dove il tempo si ferma lasciando trasparire l’attesa, l’entusiasmo e il dolce far nulla.
Il suo obiettivo non risparmia infatti nessuno: militari, amici, attori, figure storiche. Tutti trattati da Capa con un’ equità senza precedenti.
Una mostra dove membri dell’esercito e Pablo Picasso si incontrano senza che il visitatore risenta alcuna illogicità, nessuno viene privilegiato, tutti sono protagonisti indiscussi, dandogli vita, rendendoli immortali, almeno nelle foto.


Addirittura per il progetto Generazione X, si pose come obiettivo quello di documentare la vita di giovani 20enni che dopo aver vissuto l’esperienza dolorosa della seconda guerra mondiale ritornavano a vivere, a sperimentare e a sognare.
Qui sotto due scatti dove Capa raffigura giovani donne, spensierate ed ingenue, in realtà molto diverse tra di loro ma che mostrano lo stesso sguardo rivolto ad un futuro tanto incerto quanto pervaso da aspettative.
Robert Capa«Ci siamo raccontati l’un l’altro cosa ci aspettavamo quando avevamo vent’anni e abbiamo scoperto che per quanto i membri di Magnum provenissero da Paesi diversi, le nostre speranze di ventenni erano simili tra loro ma diverse da quello che poi sarebbe successo. Da lì fu un attimo iniziare a pensare a quelli che avrebbero compiuto vent’anni a metà del secolo, e che avevano buone speranze di vivere nel secondo cinquantennio e celebrare anche l’anno 2000».


Ed era questo uno dei suoi talenti: poteva imprimere nella pellicola quella verità che tanto cercava, la stessa emozione che ancora oggi è possibile assaporare con tutti i sensi camminando in queste sale. Lui sapeva raccontare quell’attimo vivendo con loro, senza rimanere un estraneo fuori campo, ma diventando complice.
Lui che aveva compreso che avvicinarsi, mentalmente e fisicamente, era l’unico modo per operare, per raccontare.
“Se la fotografia non è venuta bene è perché non eri abbastanza vicino”
Robert Capa
E in questo Capa era un grande maestro: l’empatia che scaturisce ancora oggi dalle sue fotografie è ciò che lo ha reso UOMO prima ancora che ARTISTA, colui che ha saputo raccontare alcune delle più atroci pagine della storia conferendo alle vittime e ai soldati dignità e umanità nei reportage di guerra e che ha “parlato” con delicatezza e sensibilità nella sua breve relazione con la fotografia a colori.
Solo per questo la mostra vale la pena di essere vista.
Che Robert Capa continui a stupirvi.
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